Il figlio è il campo che semini, e che non ti appartiene.
Lettera ai Professori
Provate a smettere di somigliare a chi eravate e a dimenticare la scuola per come è sempre stata. Siate audaci, siate sorprendenti, alzate quei ragazzini a fine ora non con una fila di compiti assegnati, non con l’onere di essere arrivati a pagina n., di aver fatto le tappe di un fantomatico Programma, ma fieri di aver acceso un sorriso, un piccolo entusiasmo.
La guerra
Patrick: il preadolescente in guerra con tutti, il ragazzetto che la voce ancora ce l’ha bianca, le mani sempre là sotto, i telecomandi, le scenate, i «fate schifo», l’invidia per le sorelle che vanno a una non-scuola meravigliosa e lui ancora no, il solo figlio maschio, la vittima di tutto, quello che «la vita è ingiusta, la mia vita fa schifo». Isolalo. Digli che non abbiamo il coraggio di toccarlo. Dì a quelle sue zampe lunghe come lance bianche che non è un castigo, che lo amiamo, ma che deve stare in camera anche per bersi un succo d’arancia. Digli che è un appestato. Fai il vuoto, intorno a lui. Provaci.
Covid19: osservate voi stessi, anziché gli altri
Sappiate osservare.
Meno gli altri, e di più voi stessi.
Perché spesso quello che vi fa imbestialire dell’altro, che vi fa minacciare, controllare, imporre, è il vostro bisogno di controllare le vostre paure, di imporvi su voi stessi.
Invece di guardare quante volte un ragazzino si sporge da un banco o se passa una matita al compagno, guardate in voi cosa questo produce.
Invece di raccontare che i bambini sono a rischio, guardate in voi il vostro rischio.
La scuola si fa nella vita
Tu non devi fabbricare alunni, ma non devi nemmeno fabbricare superuomini di domani. Occupati dei bambini. Fa che siano il meglio che sono come bambini oggi. L’adulto di domani sboccerà di conseguenza.
Piccole fughe, piccoli cuori
Le scendono rivoli zitti, il suono fragile e rotto d’un sussulto e così si schiude, come una conchiglia: “Voglio tornare a casa…”
Per insegnare il coraggio bisogna prima di tutto che la scuola sappia sceglierlo
I maestri vittime di genitori apprensivi non cerchino la colpa in questi ultimi, ma la paura in sé stessi. O cambino lavoro. Perché insegnare è un mestiere di coraggio. Forte e viscerale come una gestazione. Sangue e palpiti, scambio, sudori, liquidi, impeti, ere, nascite, morti. Vadano a fare le cassiere. Vadano a spostare bancali di surgelati. Lavoro dignitosissimo, ma dove non è richiesta la viscerale partecipazione al concerto della crescita.
E poi fu settembre
Prima servì convincere i genitori più ortodossi che stare all’aperto era più sicuro. Poi che i libri si potevano sfogliare in un prato e i tablet consultare su una panchina, e che molte cose si imparano con altri materiali. Poi che la creatività era quella che ci stava salvando!
La mosca e la montagna
Comunque nessuno schioderebbe, Sarah all’invito di andare più vicini al ghiacciaio «comunque con un giro breve, amore», ribatte «il ghiacciaio si vede già da qui. E poi se vuoi il ghiaccio basta aprire il freezer»
L’amore ai tempi di YouTube
I miei due preadolescenti viaggiano per casa e la sola cosa che vedi è un paio di mutande sulla pelle chiara e nuda, e il conteggio a fior di labbra da un capo all’altro del corridoio: «Tizio ha centomila fan», «Caio ne ha un milione».
Il permesso di vivere
Questo vedono, questo insegniamo: adulti impazziti e terrorizzati che ancora non sanno riaprire le scuole né inventarsi niente, che coprono nasi e bocche, che impediscono di prendere una sacchetta all’asilo e chiedono ossequiosi a un dio – chiunque esso sia, un virologo, una dirigente, un sindaco – il permesso di vivere.
Ricordati di sanificare le feste
C’è la stessa liturgia, quassù. Chi non ha la mascherina sulla bocca ce l’ha sul collo, attenta. Oppure dondola impercettibile sul gomito. Non puoi dimenticare. Percorsi tracciati di entrata e uscita dal piccolo edificio di pietra che chissà quante ne ha viste ma questa mai. Cartelli, raccomandazioni. Cautele.
«Sanificare» è una parola che ormai non sappiamo più perdere. Ci fa paura vivere senza. Il terzo comandamento, sospetto, diventa: «Ricordati di sanificare le feste».
L’assenza educativa
Dov’è, la vostra tempra? Dov’è, il vostro fuoco? Quello che mettete nei sorrisi, negli abbracci, negli anni e nei cuori, nel vostro lavoro? Tutto fermo per un divieto?
Nessuno può vietarvi tutto.
Ma io… non ho visto nulla
Tra un morso e l’altro della bambina
Adesso tra un morso e l’altro della bambina che se ne va, accosta in improbabili nuance un “cazzo vuoi” e un “hmm, miiii”, perché perfino dirlo intero – “minchia” – sarebbe troppo faticoso.
Scusateci, bambini
La prevenzione non è l’unica risposta. La prevenzione elimina i bambini, considerati inconciliabili con le misure.
Non lo so, se questi studi apriranno finalmente una strada.
Ma mentre tutto questo, in silenzio, accade, voglio chiedere scusa a nome di chi non lo fa.
La scuola impropria
E così a noi interessa schiacciare i ragazzi, che imparino la dura realtà delle cose. Che poi vadano a fare un duro lavoro che detestano. Che poi vivano una vita impersonale. E che abbiano figli cui insegneranno la stessa perversa morale: che si vive per dovere.
Non pensavate la stessa cosa, quando avete pianto di gioia scoprendovi incinte.
Non pensavate la stessa cosa, quando vi siete innamorate.
Non pensavate la stessa cosa, quando avete toccato la Vita nel gesto supremo del parto.
Ma siamo ancora qui
Abbiamo fatto tante di quelle lavatrici e cucinato pasti come mai avevamo fatto, in questi mesi.
Abbiamo soccorso bambini rotti in liti tra fratelli e attenzioni insufficienti. Ci siamo sentite in colpa, ci siamo sentite poco.
Abbiamo minacciato di non cucinare più, di sparire, di mollare tutto.
Ma non abbiamo smesso di cucinare, non ce ne siamo andate. Siamo sempre rimaste.
Soldati soli
Se c’è una cosa che la DAD poteva fare, nella sua infelicissima inevitabilità, era provare a slacciarsi dall’automatismo del: «Io sfoglio il sussidiario e parlo per un’ora, voi ascoltate e poi fate i compiti».
Perché gli insegnanti fanno lezione nello stesso modo di prima? Perché si discute di come si possa cambiare la didattica a settembre? Perché aspettiamo che qualcuno lanci una rivoluzione che comincia con un passo: il nostro?
Quarantena: piccole violazioni
Mio padre aveva un sistema per farci salire in montagna.
Certo, ci tirava per mano.
Di tanto in tanto sfoderava una composta di frutta o una zolletta di zucchero: a quei tempi si credeva che gli zuccheri fossero buoni. Sì, anche quelli semplici. Oppure, ce la menavamo banalmente di meno.
Ma il grande trucco era un altro: superati i duemilacinquecento metri di altitudine c’era la parolaccia libera.
Certo che siamo bravi
Fase 2 e scuole
Lo sai come mi sono sentita? Come quando fai una gara o un concorso, e poi aspetti che proclamino i vincitori, e cominciano a fare i nomi e il tuo non arriva mai. E ancora. E ancora. Ascolti tutto. E infine depongono il microfono e tu te ne devi fare una ragione: non ti hanno chiamata.
Cuori in cattività
L’altra abominevole menzogna è che i bambini sono solo contenti di questa quarantena: «Finalmente possono godersi la famiglia, la mamma, la casa, e dormire».
Parole di questo tipo hanno in sé una ingenuità, una mancanza di rispetto e una cecità ai limiti della violenza.
Se voi pensate che i bambini siano soprammobili.
Se voi pensate che siano peluche.
Se voi pensate che siano animali da compagnia.
O piante cui basta cambiare l’acqua.
Un bambino non è stupido: lo capisce, quando la fiaba del «vissero tutti felici e contenti» non regge più.
Quanti giorni mancano
Quando ci hanno detto che mercoledì avrebbero avuto una sessione di gruppo su Zoom, Isabelle non mi ha chiesto «cosa vuol dire?», non ha domandato cosa sia Zoom.
Mi ha chiesto, invece: «Quanti giorni mancano?»
QUANTI. GIORNI. MANCANO.
Lo capiamo, questo?
E poi si è messa a contarli, le dita dritte, in piedi, delle mani.
Non è vero che i genitori devono essere «sereni»
I bambini hanno bisogno di verità, non di fantocci. Hanno bisogno di saperci «ampie», non «serene»: ampie vuol dire con uno spazio e una solidità flessuosa dove tutto è possibile, dove tutto trova dimora, perché la mamma è il porto dove poter tornare sempre e sapere di essere perfetti così come sono
I bambini cercano di non dare disturbo
Lei si ferma, la bocca le fa un arco che cade, cade il mento, cadono le braccia. Immobile.
– Non riesco…
Sembra rotta.
E in un momento si ferma tutto, anche il bagno, anche il fiato. Allora la prendo, mi scuso con sua sorella, esco un momento.
Siamo sul dondolo in camera mia. Potrei raccontarvi di mille volte che sclero. Potrei dirvi di mille e uno cose che noi mamme, tutte – mica solo io – ci ingegniamo a fare. E anche i papà. Ma oggi voglio dirvi che i bambini soffrono. Chi prima, chi dopo.
Lasciatemi fare
Il dolore si arrampica come uno scarafaggio. Te ne liberi solo se lo prendi, non se lo ignori. Te ne liberi solo perché sei più grande di lui
Non è mai un luogo, che si lascia
Sarà un po’ più difficile restare Alta, nella metropoli. Un po’ più difficile stupirsi. Ma è l’esercizio che è chiesto a tutti, in questi giorni: la passione al vivere.
Abbiamo deciso di restare
Cambia tutto, adesso che decidi di restare. Carichi una lavatrice, addestri i figli: – Bambini, da oggi regole. E disciplina.
Passi l’aspirapolvere su ogni lisca del parquet, sbatti i tappeti, quei giochi e cannucce zoppe a spasso per il soggiorno non ti sembrano più possibili. Vai a fare la spesa, trovi scaffali già derubati dall’ansia. Anche qui. Prendi possesso dei giorni. Sali su quest’occasione
Come posso
Sono urla, sono insulti. Il suo ritornello è che non posso avere ragione sempre io. È in quella fase del disvalore quando crede che l’amore di un genitore sia proteggerlo a tutti i costi dai dissapori. Dargli ragione. Rinunciare alla tua. Come se ogni volta che acconsenti potessi gonfiare la ruota della sua autostima. Ma il buco, quello non lo ammette. Facciamo fatica noi grandi, figuriamoci quando non sei più niente: un bambino che smette, prima che un adulto cominci. In quel corpo confuso, le gambe esili senza una minaccia di peli. La voce ancora alta, bianchissima, i denti troppo larghi in una bocca da latte.
Le madri. Degli altri
C’è tutta questa corrida per il suo amichetto che viene. Credetemi (lo saprete di certo, io invece in questo sono novellina: inospitale, asociale): avere in casa un figlio altrui non è nulla, rispetto a quando… viene anche sua madre
Parlate ai figli dei vostri sogni
Chiedete ai figli due cose: cosa fa la mamma, e cosa sogna.
Se i figli non sanno rispondere, chiedete a voi stesse cosa volete dare, di voi. Perché i figli non sono appendici del nostro essere, eppure vedendo che sogniamo, imparano a non smettere di sognare; vedendo che desideriamo, imparano la religione sacra del desiderio.
Perché i figli dovrebbero fare le madri
Si dice che quando si è malati si è più veri. Non hai filtri. Non pensi a cosa porgi, mostri, offri, vai dritto come sei. Nudo. Be’, nudo non è per forza dolce, glassato e morbido. Nudo è che investi i figli alla prima curva.
E poi capisci che i figli ti amano uguale. E ti chiedi perché sei tu, il genitore. E non loro.
Ma tu rimani
Ma la nostalgia non è mai perdita: non mi manca quello che eri, perché sei quello che sei
Compiti: finte ragioni, vere ossessioni
I compiti e le lezioni da studiare, invadendo lo spazio libero del bambino fuori da scuola, vengono percepiti come ingerenza e portano a ribellarsi allo studio. Perché, per fortuna, un bambino sente che gli si sta togliendo qualcosa di suo
Il costo della neve
Poi c’è stata la crociata del materiale. Ho dovuto dirlo, in qualche svolta del percorso accidentato tra folla e prezzi: «No, be’, sembriamo cittadini fantozziani, ma è che noi in montagna ci andiamo eccome, solo che è sempre d’estate. D’estate siamo esperti»
Bisogna che i figli sappiano che sono al sicuro
Bisogna che i figli sappiano che quando il viso scende senza rimedio, quando entrano in studio e interrompono vistosamente un mio ritiro in me stessa, e poi vedono che gli occhi sono appassiti… Be’, bisogna che sappiano che sono al sicuro
Quando una madre non basta
Imparare a fluire un po’ di più sembra cercare di scendere un fiume dove però un miliardo di stronzissimi castori continuano a fare dighe. Non so se mi spiego. Sì, so che mi spiego.
In mezzo alle ore
Mi piace che al fondo di una giornata dilatata dai pensieri oppure infittita dalle preoccupazioni, ci sei tu.
E anche al mattino.
IO QUANDO®
Attenzione: NON è una marca di assorbenti, non è un nuovo balsamo per capelli, non è un deodorante per i giorni particolarmente afosi, né una crema miracolosa per la prova costume.
IO QUANDO®, il rivoluzionario passatempo che va a ruba tra mamme, è un rompicapo di ultima generazione
Siate gentili con le madri
Siate gentili con le madri.
Quando chiedono un consiglio e poi non lo seguono. Quando vi maledicono per un consiglio non chiesto. Quando non avete capito nulla del loro silenzio e quando trecento parole non le hanno espresse. Quando chiamato per essere rassicurate, quando bombardano di domande.
Pensate a cos’è una donna: fragile perché piena di emozioni, anche se poi è un’ottima conduttrice di sé. E adesso pensate cosa sia, a questo, aggiungere dei figli.
I bambini, ai maestri spirituali, li fregano tutti
Una pubblicità, una volta, diceva: «La potenza è nulla, senza il controllo». Invece è proprio l’opposto: senza il controllo, vedi che potere, hanno.
Quando tua figlia sarà grande
I figli crescono come gli alberi, la loro linfa è in fondo nascosta, i cerchi si fanno ad anelli secondo leggi che non possiamo imporre
Un buon posto
Vale la pena capacitarci che non siamo capaci di tutto. Dobbiamo scendere a patti con la verità che la nostra onnipotenza non solo non esiste, ma nemmeno servirebbe: ogni figlio è della vita, non della madre.
L’asilo è un buon posto, dove impararlo. Dove iniziare a rinunciare a qualcuno dei loro omaggi, dei loro abbracci, delle loro, accese, novità.
Se adesso Bea piangesse
Se la smettessimo di muoverci con il bianchetto emotivo per cui solo qualcosa, di quel grande mondo che sono, è consentito e accettabile.
Se adesso Bea piangesse liberamente, se sua madre dicesse che va bene così, che gli altri sorridono e presto sorriderà anche lei.
Chi di noi
Chi di noi non si è accovacciata un giorno accanto a un figlio sperando di sparirci dentro?
Perché sappiamo bene che il nostro centro è dentro di noi e non fuori, sappiamo che un bambino non può contenerci per intero né sarebbe giusto. Sappiamo che siamo madri e siamo forti e si dice anche fragili però che diamine noi fragili non possiamo mai esserlo. Sappiamo e non vorremmo mai che un figlio ci raccolga.
Eppure chi di noi non ha sperato, una notte, di potersi rannicchiare tutta quanta in quell’odore, in quelle poche spanne
Eppure sei tu
Una madre fa questo, perde il ricordo dei suoi primi giorni e lascia arrivare quelli dei figli. Poi si ferma, dopo le folle, il da farsi, in qualche svolta: e si accorge d’improvviso che sono passati cinque anni.
Non c’è ragione valida, oltre le ragioni fisiche, oltre la scienza del corpo e del tempo. Eppure sei tu. Sempre tu. E io – in fondo – sono io, tuo padre accanto, voi tutti solo molto più alti di cinque anni fa, il cortile diverso da allora.
Sarebbe come andare via senza salutare
Allora grazie. In ordine sparso e confuso come fa il salvadanaio del cuore, al rimescolare dei passi. Grazie a Sarah in quella maglietta blu accesa fuori dai cavalli… Grazie a quei giorni al lago… Grazie per quelle mattine che arrivate uno per volta, grazie a quel giorno che pioveva
Madri da meno
Oggi mi sento una madre da meno.
Non ho passato tempo con loro, spesso l’ho fatto gridando: mi sono raccontata che i figli erano nervosi e che per questo dovevo tirare le briglie.
Mi sono detta che c’era molto da fare
In vacanza sola con tre bambini
Essere sola impone organizzazione, una delle prime azioni che compio è il «Regolario»
Percorsi da incubo
IO NON TORNO GALVANIZZATA E FIERA. IO TORNO, SEMPLICEMENTE, SFATTA Ho un rapporto alquanto conflittuale con la paura. Per quanto io cerchi di rigirarla come sfida, al pari di un boccone in bocca, quella sempre tale rimane: paura. È con spirito comunque fiducioso e intrigato che mi lancio all’attacco del percorso avventura promesso a Patrick: quello rosso, il più …
L’unica cosa
Dare la vita arriva fino a un certo punto, arriva a un tunnel dove le mie mani non possono. Arriva al limite dove un amore tuo, privato e unico, deve reggerti e nutrirti. Io metterò sempre la mia maglietta nel tuo tunnel perché tu riconosca la mia presenza. Bacerò ogni buongiorno e ogni sera chiuderò le ore con le mie labbra sulle tue guance. Ti prenderò da parte e parlerò spiegandoti che sei speciale, oltre i gesti che si sciolgono presto, sono cristalli di neve e anche se diventano goccia non scavano mai abbastanza la pietra. Oltre le cure e accanto alle tue indomabili difese.
Ma l’unica cosa che vorrei darti è la sola che non posso: è che ti innamori di quello che sei.
Il prima e il dopo
Non so se esista un nome, per quell’emozione di paura che non teme e che, pure, pare vibrare nello stesso modo di un piccolo spavento. Il disagio che proviamo quando un luogo non ci somiglia, non suona accogliente a qualche anfratto di noi che la ragione non comprende
La dura vita dei bambini
Io tutte queste cose non è mica che le vivo leggero perché sono un bambino. Voi credete che sono di gomma, che rimbalzo sempre. Che la vostra vita è ben più dura perché avete quella cosa che noi non abbiamo. Com’è già che si chiama? «Responsabilità».
I bambini pensate vivano felici perché non ne hanno.
L’importanza di partire
L’uovo non c’è più. Mio figlio è partito. Noi, invece, ci siamo sempre. E quel trafficare domenica pur di farlo partire è un trafficare eterno, è tangenziali e strade nel cuore. Dove niente è mai rotto senza rimedio.
Sei contento?
Ma certi bisogni dei figli restano gli stessi. Fuggono dentro i pugni, dietro a porte che chiassano. Nelle provocazioni. E invece il cuore resta bambino, non cresce mai svelto come quelle gambe sulla bicicletta.
Il lago è un mare buono
Il cancelletto si chiude, torneremo fra cinque giorni. Da piccoli contavate in notti, anche il Natale, la partenza per un viaggio, le villeggiature. Ora basta dire: ci vediamo venerdì sera.
Sogno bambini che lasciano la scuola, e un po’ gli dispiace
Perché diamo per scontato che sia una vittoria, finire la scuola? Chi vince?
Bagnarsi di libertà
Vedi chi passa guardare, luccicare per questi bimbi. Vedi altri bimbi prendere l’iniziativa incoraggiati dallo spettacolo. Vedi genitori smettere di tenerseli addosso, di premurarsi in quell’automatico «stai attento, non ti bagnare troppo». I bambini, invece, non vedevano niente. Oltre quelle fontane.
Sempre, mai più
Ai bambini non piacciono i forse, i vediamo e i però.
Non piacciono nemmeno quei razionali e accorati «un’altra volta». Non c’è un’altra volta, nel mondo dei bambini. Oggi è adesso, e adesso è sempre. E se non è adesso, allora non so cosa farmene.
Non è meraviglioso, quel codice assoluto? Non somiglia forse alla marea degli innamorati, ai per sempre e ai mai più?
Eppure loro fanno spola, dall’uno all’altro, con una fluidità che ai «grandi» fa paura.
Il bimbo che piange
Finché Maddalena si alza, raggiunge la donna: «Posso prendere il bambino? Lo porto al mio posto, gli faccio vedere il buio che s’incolla ai finestrini, gli canto una cosa»
Non ha inventato niente
Se tutta quell’energia venisse usata per trascinare folle verso buone follie. Folle: verso nuove, rivoluzionarie follie
Maniche corte
Pensi se dirlo: «Ho dei figli impossibili». Non vuoi farlo. Non è questa grande figura, vuol dire che in fondo c’è qualcosa che abbiamo sbagliato.
Se una margherita può bastare
Scoprite l’immenso sollievo che si prova sbattendo una porta, e poi udendo il campanellino di quella chiave che cade. Lo sfogo di scagliare a terra i cuscini del divano e lasciarli lì, firma del gesto: al presunto affronto della vita opponete il vostro. La provocazione cerca di ristabilire un podio che qualcosa o qualcuno vi ha sottratto vostro malgrado.
Ma nessuno ve l’ha mai tolto. È solo crescere: questa ingiustizia che vi vibra nei gesti come irreparabile.
Ogni notte, prima o poi, finisce
Io tiro, lei è in piedi, io tiro e di colpo è un tonfo secco, come uno sparo.
Cade come un bastone rigido, come un albero mozzato in una foresta.
Mi piacerebbe dirti
Mi piacerebbe dirti che sarà sempre la scelta migliore, che era come te l’eri immaginato. Che gli imprevisti sono solo occasioni impacciate. Ma la maternità non funziona così: funziona che basta uno sterminio di didò e quel pomeriggio ti sembra un affronto. E poi magari cavalchi una malattia e una stanza d’ospedale con un sorriso senza pari. Funziona che un’altra al posto tuo, che molte, che tutte: sarebbero riuscite e tu no. Funziona che nessuna al posto tuo ce l’avrebbe fatta: e tu sì.
Non vedo l’ora
«Non vedo l’ora che sia domani».
Continuate a sognare, a non vedere l’ora che sia domani.
Siate eroi e principesse nell’attesa fibrillante di un costume sullo schienale di una sedia. E poi nel giorno che lo indossate. Indossatelo quando vi pare.
La maternità produce geni
La maternità produce geni.
Non solo nel senso che diventiamo geniali (vogliamo parlare di come riusciamo a somministrare una supposta fingendola una navicella spaziale diretta a rettolandia? Oppure una verdura tritata fine fine nella pasta, o ribaltare un pianto facendo parlare tra loro un indice con l’altro della mano e dire “ciao ciao indice”, “eh? in… dice… cosa dice?”), ma anche nella sua intrinseca capacità di cambiare il nostro corredo.
Tipo: non ti ricordi un cazzo.
I 10 comandamenti formato junior
1. Non avrai altra madre all’infuori di me
Sappiate apprezzare che di mamma ce n’è una sola: vi risparmiate i rimproveri e le punizioni delle altre.
5. Non uccidere
… tua sorella quando giocate ai lanci: se la becchi col cuscino dalla parte della zip le causi un apparente trauma cranico. I dieci minuti di tregua che mi avete accordato dovrò scontarli con quindici di urla strazianti. Se proprio dovete ammazzarvi, fatelo in silenzio.
7. Non rubare
… se non sei esperto.
La risorsa n.1 del Pianeta
La mia speranza è che non ci siano più maestri che fanno i data entry, che imbottiscono tacchini. Bisogna sapere, nel profondo, che l’essere umano è la risorsa numero 1 del mondo.
Indispensabile
Quando qualcuno come un figlio ci nasce dentro, riesuma un’antica memoria, un bisogno di sempre. Di appartenere. Di sentirci indispensabili
Il tempo di un caffè: quando una madre può occuparsi di sé
Quando dorme lascia passare un lasso sufficiente a essere “certa”. E non troppo da essere nuovamente “incerta”. Ho pagato con caffè riscaldati fino a sei volte il mio temporeggiare.
Sarah piange
Ma Sarah piange. Quella è una professoressa delle medie, mi ha detto. Esigente, dura sotto i capelli, rigidi pure quelli.
Talvolta la riprende perché la vede che muove le gambe. Perché non sa che Sarah piange ancora
Vorrei per voi
Sarà il coraggio a disarcionare le certezze, a farvi andare contromano nei tracciati dei «si deve».
10 euro
Patrick non è d’accordo: «Ai miei compagni danno 10 euro, per la pagella. Come premio. Voi non mi date mai niente».
«Amore, ti diamo il nostro orgoglio, che vale più di 10 euro».
Madre e figlio
È lei, a toccarlo. Si sporge in piccoli gesti cauti sulla scusa di un cellulare, stanno guardando qualcosa da comprare, una moto, un’automobile. È bella anche rossa, dice lui. Lei tocca un ginocchio con le dita, la sua gamba col gomito.
È stata lei a insistere: – Ti accompagno.
– No, ma’. Lascia stare.
– Ma sì, mi fa piacere.
Stamattina s’è messa il vestito buono, quest’abito color cipria che scende senza il disturbo d’un corpo impreciso. È arrivata sotto casa sua come una fidanzata.
I bambini sono follie permesse
Con mia figlia per mano e quella pecora che sembra Shaun ma non lo è, lì nel balcone che fa rima col mio cuore, mi sono fatta un pezzo di strada, l’uscita da scuola di Patrick, il ritorno, e poi la parrocchia. Non un solo attimo ho dovuto cacciare la vergogna. L’unica cosa che di tanto in tanto riaggiustavo era la pecora che non è Shaun.
I nemici del tempo delle mamme
– Il pollice nel grembiule/nella felpa/nella giacca: tu infilzi le braccia del pupo tipo pollo allo spiedo, veloce come un’intuizione, e a un certo punto c’è il posto di blocco, il pollice rimasto incastrato, perché per qualche ragione i bambini lo tengono da autostoppisti, fanno il like alla pagina.
– La zip che non sale.
Uscire così, con una follia o un errore
Manuela spennella il lilla, lo avvolge nella stagnola, spennella di nuovo. Intanto un cane è entrato e ciondola tra i nostri piedi, va a sniffare le ciocche cadute di altre clienti. Quando alla fine del tempo di posa apriamo la confezione, lo capisco subito
Otto
Ti avrei chiamata Gaia. Era un nome che mi piaceva, tintinnava. Ma non potevo. Era come se qualcuno, da sempre, mi avesse detto che avrei avuto una figlia di nome Sarah. Così un giorno, da Leroy Merlin, accanto a grandi contenitori di libri per bambini, ho deciso che ti avrei dato entrambi i nomi. Letti di seguito, col primo pronunciato alla francese, sono un augurio. Sono: “Sarà gaia”.
Non comprate gli zaini con le rotelle
Pensiamo in grande, dai.
Loro pensano in grande, la scuola pensa in grande caricando gli alunni. Ebbene facciamolo anche noi: se lo zaino contiene più di un libro e il diario, tutti dentro. Li riportiamo a scuola. Li allineiamo disciplinatamente.
Il cuore pieno di latte
Quello che resta non è solo nei loro corpi cresciuti, non è solo tutte le occasioni in cui il seno li ha calmati, rassicurati, amati. Quello che resta è un intreccio emotivo, fili di loro e di una madre. Grata alla vita, al corpo, alla natura: a quel cuore che le saliva agli occhi, ogni volta. E resta pieno di latte
Quando le mamme fanno le furbe
E tuttavia, dite la verità, dopo quei dieci minuti di incanto, sale un ettogrammo di noia. E accanto alla noia, la sua gemella: la torre delle incombenze. Troppe cose da fare ci solleticano e prima o poi (se non è all’undicesimo minuto, sarà al dodicesimo) ci arrabattiamo per infilare qualche faccenda in parallelo, tra un «che bello» e un «torno subito».
I bambini hanno fretta
Gli occhi aspettano. I suoi, dico: che io dia loro la benedizione d’un complimento. Per poi schiamazzare di scintille.
– È per farti perdonare?
Sì, dice.
E a quel punto le pupille le saltano come bottoni.
Il bambino che giocava con niente
Solo che il ragazzetto ha proprio preso gusto, e adesso la sua polvere se ne va oltre la siepe, arriva nebulizzata sui genitori ancora in attesa, quelli obbedienti che il nastro non lo valicano.
– Ehi, però, non sollevare la polvere.
Glielo dico così. Con un bel punto fermo, senza esclamazioni. Però robusta.
Quello si ferma, si siede. Non osa più niente.
L’ultimo giorno
La sera mi sdraio sul letto di Kick.
– Cosa fai sul mio letto?
Giocano al lego, tutti e tre, insieme. Non hanno bisogno di me, ma io ho bisogno di loro.
– Voglio stare con voi.
Scuola primaria: diritti e rovesci
Nella scuola di mio figlio hanno perfino vietato i diari di calcio. Lui ha risposto: “Lo prendo di basket”. E in quel momento mi è sembrato che avesse capito tutto della vita.
Dove cominciano i figli?
Mia madre ci teneva due mesi secchi qui in montagna: sì, proprio dove siamo adesso, in questo paesino che si veniva su gli ultimi di giugno. Capitava che era il 29, me lo ricordo perché è il suo onomastico. Le donne gonfie dei covoni di fieno, noi bimbi muti per quattro ore di viaggio, le canzoncine, i cracker sui sedili. Avremo rotto i coglioni come li rompono tutti i bambini, immagino. Però arrivavamo e io mica mi ricordo una sola voce alzata, un pianto: io mi ricordo le donne e i covoni.
L’amore comincia un mucchio di volte camminando
Le cime che non pretendono niente, non ti obbligano come la vita: stanno lì e lì staranno, che tu ci vada o meno, che passi sotto, accanto, sopra. Quelle ti lasciano fare. Però sono anche signore, perché gli piace essere guardate. E mentre le guardi il tempo s’è fatto da parte, il fiato è il solo metronomo, e dopo un po’ sei tu e un cuore che s’è messo buono a recitare i suoi ritornelli, ossequioso come un chierichetto.
Calcificazioni
Faccio il gioco di guardarlo a pezzi, un pezzo dopo l’altro, e ricomporre da quale squarcio risulti già indiscutibilmente bono. Di solito mi basta il mento, una spalla. Ebbene il primo ritaglio di oggi è malauguratamente i bambini che lo zavorrano, il pensiero immediato è “figo. Peccato che ha figli.”
6 agosto 2008
Compi dieci anni. I primi a due cifre, dici. D’ora in poi avrai due cifre per il resto della vita. Se arrivi a tre, comunque, va bene lo stesso. Ti guarderò da dove non sappiamo, da qualche posto magico come magico era vederti senza vederti in quei nove mesi.
Perché ci arrabbiamo così forte coi figli?
L’afferro, la porto di là, in un momento solo, lei è a letto gonfiata dal pianto come una vela, la mia voce si strappa.
Penso che non mi sono mai arrabbiata così con nessuno. Penso alle grandi battaglie. Gli ex fidanzati, mia sorella, mia madre.
«Facciamo le pazze»
Aveva detto: – Giochiamo insieme, facciamo le passeggiate, i pic-nic. Facciamo le pazze: ci divertiremo un sacco.
Dall’altra parte del mare (2)
In dentro la pancia, petto in fuori, il gioco dei bilanciamenti ogni volta che passo sotto al trespolo del bagnino.
Al secondo giro ci portiamo Sarah. Andiamo fino in fondo, dove la sabbia si spegne negli scogli, e il mare diventa di vetro però anche più arzillo. È lì che Patrick fa la sua prima esperienza di tracanno: – Che schifo, che schifo! – si dibatte per la sorsata di sale gentilmente offerta da un’onda madre.
– Dai, torniamo. Corriamo ancora.
– No, anche al ritorno no. Con quello che ho passato!
Dall’altra parte del mare (1)
Sori l’hanno rifatta. Nella realtà, nei miei ricordi, non ha importanza. Ci arrivavo da ragazza, seguivo l’Aurelia nelle ore che il sole sbaglia colore e i bagnanti sono già dentro qualche vestito. Adesso c’è questo pugno di bambini in un parco giochi moderno, due ponti pedonali larghi come piazze, la vita di un giovedì sera, ragazzi alle fontane. Ceniamo qui, prima dell’ultima arrampicata su quel boa asfaltato verso la nostra destinazione finale.
Una figlia
Impariamo a conoscere un figlio nel momento in cui lo lasciamo essere diverso da ciò che avevamo capito
La mia fragilità
Il Comune non ha dato l’agibilità per la maggior parte del cortile. Le educatrici aggiungono altri veti. Il Comune doveva ritenere non idoneo non il giardino ma la struttura: una struttura dove non si può stare fuori non è idonea per un campo estivo.
I bambini Swarovski
Non so perché hai scelto questo mestiere, dove obbligherai bambini figli del vento, del gioco, degli azzardi…
a diventare Swarovski.
Quello è mio figlio
Quello è mio figlio.
Ha una maglietta bianca, i calzoni scuri. Hanno tutti una maglietta bianca, i calzoni scuri.
Ma quello è mio figlio.
170:
È bastato un semplice ti compro qualcosa: dopo poche ore siamo in un grande parcheggio, i maschi fanno la spesa e le donne rispondono all’appello di un guardaroba scarno.
Vittima di sensi di colpa e anche di quella vanità di riflesso che ci vede gloriarci per la bellezza delle figlie, accumulo abiti in una grande sacca. Il ritornello: – Vuoi anche questo? Ma sì, va bene.
Non credere mai che non ti ami
Sbufferò come sbuffano tutte le madri: per ragioni valide e altre invalide. Dimenticando che ciò che più invalido è la tua fiducia. Ma tu non credere mai che non ti ami.
Non crederlo quando sbaglierò faccia. E sbaglierò risposta. Quando spenderò un mucchio enorme di parole per dirti un solo no. Quando invece tacerò il solo sì che avresti voluto.
La poesia non è un errore
– Per le maestre è più facile che tutti scriviate nello stesso modo. Che ognuno faccia un 3 che è solo un 3. Come i computer.
Primo maggio: il brivido del ponte
Risale un ardente (e ardito) desiderio di fare. Fare, sì, quella cosa che va’ che bravo a fermarti, pensare, meditare, stare in pace e amen. Io sto ferma da mo’ e adesso devo, tassativamente fare.
Ma cosa?
Faccio rima con te
Biascico rime per tutto il viale
mi piace guardare come il tuo viso sale
su per la mano che stringe la mia
fino ai miei occhi voliamo via.
I genitori degli sposi
Quando Sarah avrà trent’anni io ne avrò quasi settanta. I nostri figli rischiano di sposarsi con quelle prime file vuote. I loro figli rischiano di non sapere nemmeno cosa voglia dire “nonno”.
Una forma di preghiera
Una volta si faceva l’esame di coscienza. Con la scusa della preghiera, l’Ave Maria e il Padre nostro bisbigliavano promesse e buoni propositi sotto i fiori arancio della tappezzeria, mia madre stava sul ciglio del letto. E non si sgarrava
Lasciar piangere
Piangeva ancora. Ho pensato a tutte le volte che ci ingoiamo i sassi di mali nascosti, come grani di sale grosso
Idee per spendere del meraviglioso tempo coi bambini
Per chi come me non ha attitudine spiccata ai lavoretti (quella specie di manufatti di dubbia riuscita partoriti con ore di lavoraccio e chilometri di colla o colori) suggerisco alcune attività amene o diversivi che presumibilmente dovrete ritagliare tra le fitte ore di gioco autonomo e pacifico dei figli (?). O, più realisticamente, tra un non so cosa fare e un mamma voglio giocare con te.
C’è 2 senza 3
Fate un figlio, due, quattro, ma non tre. Ché l’ultimo terzetto veramente riuscito è la Trinità.
Quando il gioco si fa duro…
Non è che preferisco le sue sorelle: è che con Patrick giocare è impossibile.
Devo ripetermelo più e più volte per slacciare i sensi di colpa. Perché “Sarah, facciamo una partita a memory?”, “Isa, vuoi che prendiamo il domino?”
E lui: mai.
La delusione delle madri
Ti prendi un attimo: – Lasciatemi un secondo. Devo calmarmi.
Non puoi mica dirglielo, che sei delusa
La neve è oggi. Il resto non lo sai
Mi faccio il caffè, ci penso. Penso che a settembre era uno dei primi giorni di scuola, e gliel’avevo promesso subito: “Quest’anno se nevica vi tengo a casa. Ma se nevica bene, sul serio.” Perché la vita è anche disobbedire alle regole. O, forse, obbedire alle sorprese.
Un libro dei piccoli, quando lo legge un grande
• Scena 1: Giulio e Ignazio (l’istrice) passeggiano nel bosco. Improvvisamente vedono Gigi Galletto che corre a casa da sua moglie perché stanno per nascere i pulcini: io, se mio marito fosse stato a spasso nel bosco al momento del travaglio, ora sarei una mamma single.
• Scena 2: vedendolo correre, Giulio e Ignazio si accodano: “Aspetta, veniamo anche noi!”. Ma ti pare?
I bisogni dei figli
Quando la sera leggo un libro a Patrick gli prendo la mano. Non lo faccio apposta, né lo faccio spontaneamente. È un gesto che viene, zoppicando.
“Tu hai paura che la rifiuti. Invece magari ne ha una voglia matta – mi dico. – Che ne sai, dei bisogni di Patrick, dei tuoi figli? Conosci a malapena i tuoi.”
Quando un bastone incontra un bambino
Prima è un termometro sotto l’ascella, poi, per saltare, un’asticella.
Rincorre la mamma per farle una puntura, ma quella è veloce, scappa: ha paura.
Insegue tombini in un’altra invenzione,
ogni ringhiera suona la sua canzone.
Una stanza per crescere
I BUCHI DEL CUORE PER LE MIE SOLITE NOSTALGIE LI STUCCO CON L’IMPAZIENZA
Mancano le ultime cose, domattina sposteremo i letti e arriveranno i mobili nuovi.
Quello che so
Io conosco questo, di voi: i nasi molli, le risse. Ma anche i baci. I “mamma!” estenuanti, ma anche le vostre verità. I verbi sbagliati, l’esattezza del vostro amore.
Questo so, di voi. Di me.
Giulio Coniglio e Milano Ristorazione
Quei piccoli umani annusano menu sapienti, siedono a tavole invidiabili, specchio di tabelle nutrizionali d’eccellenza. Poi escono di lì e affogano in un panzerotto.
Tutte le mie case e tutte le mie facce
Patrick l’abbiamo concepito lì, credo.
Prima di allora il divano giallo è stato l’inizio della mia vita da sola, la sera che rientrando dall’ufficio lo scorsi nel cono di luce gettato dal pianerottolo. Accesi quelle di casa, era finalmente arrivato, mio padre si è occupato di farlo portar dentro, non mi ha detto niente, non dico niente nemmeno io: piango un po’, stingo un po’ quel silenzio.
Poi mi ha seguita, in tutte le mie case, in tutte le mie facce.
Il grande spettacolo
È un grande guaio, stare sempre sotto i riflettori. Le emozioni sono attori che non imparano mai la parte. E se le camuffi tanto i bambini là in sala le sgamano subito.
Il vocabolario internazionale delle mamme
Tutte le madri del mondo dicono le stesse cose.
UN ATTIMO: declinabile anche nel siamese “Arrivo”. Funziona per un po’ (“arrivo” è più rassicurante, poi capiscono che li stai prendendo per il c.). Finché un giorno la figlia seduta sulla tazza in attesa delle mie manovre igieniche ribatte: “Mamma, i tuoi attimi sono troppo lunghi.”
BASTA!: il Vangelo. Provate a stare un giorno senza. Parola odiata dai figli, racchiude in sé tutta l’amorevolezza e l’ingenuità del genitore fiducioso che sedare liti o contese sia come prendere il Falqui: basta la parola.
La necessità della paura
– E tu gliel’hai detto, che Il Piccolo Principe l’abbiamo letto insieme?
– No.
Non voleva intromettersi nella lezione, alzare la mano, inserirsi. Alla maestra non sarebbe piaciuto, si sarebbe irritata.
Il buongiorno ride
Quando porto Isabelle all’asilo noi ridiamo. Miagolo come un’idiota, come gli idioti che possiamo essere con un bambino. Per questo, loro ci salvano: perché possiamo tornare a essere il ventre di quello che siamo.
Le 5 regole del figlio che gioca felice
… Perché un bambino può giocare bene, in autonomia, non solo quando sta facendo la cacca
I piedi ancora sull’orlo
Mathias è dovuto tornare quattro volte: ho paura, dice lei. Alla fine la convince a dormire sul divano in salotto.
Ripensare a tutte quelle notti è facile, è rapido.
Come abbiamo potuto credere che fosse tutto passato? Come hai potuto farlo, Professore?
Ci vuole solo un po’ di più
Quando Mathias finisce le ferie mi succede una cosa strana. Forse mi sono debilitata, forse mi sono fatta troppo le mie cose, ho perso la mano: ho paura. Di loro, dei miei figli. Quasi. Di non saperli gestire. Ora che non ho più bimbi da cullare al seno, da tenere in braccio, bebè che un bacio è tutto.
Il calendario
Non ci si pensa mai, la macchina fotografica la prendi quando esci per le grandi spedizioni, per le vacanze e le escursioni, hai bisogno di posti speciali per foto speciali. Poi te ne avvedi quando fai il calendario nuovo per questo muro di cucina dove passeranno milioni di pietanze e battibecchi, le scaramucce sulla cena che io questo non lo mangio, i compiti che non ho voglia, i buongiorno amore, i ciao delle mattine pronti per la scuola: sono i gesti comuni, quelli che più s’intarsiano nei giorni. Quelli che raccontano il grande che siete
Cara Mamma-Di-Uno
Non ho nulla in contrario sulla tua scelta o la tua attesa, pensa che una volta ero anche io una MDU (Madre Di Uno), volevo però chiederti di aiutarmi a ricordare come si viveva quando una serie di conseguenze alla pluralità ancora non mi tangeva
Una cosa di cui fare a meno
– Ecco! Gli altri sono tutti viziati, e a me invece non date mai niente!
Ma Santo Amore Mio (in arte SAM), ma non lo capisci che “viziare” è una cosa orribile, quasi una bestemmia? Ma non lo capisci che noi ti educhiamo ai Valori? Non sei forse grato per questo?
I conigli dormono ancora
Sarà la più entusiasta, al mattino, quella che si scompone di luminosa, disordinata meraviglia. Sarah però dondolava in un sorriso beato accanto al piatto vuoto del vecchio canuto: – Isa guarda… Babbo Natale ha mangiato tutto! – Credo che in quel fare – fiero – da sorella maggiore, le fosse rimasto un piccolo dubbio, come un ultimo quarto di luna.
Piccole mancanze
C’è un motivo, se odio l’inverno. Se penso a quando ero ragazza e non c’era differenza tra le stagioni… Ho ricordi di minigonne vertiginose, di quelle che zittivano mia madre e la condensavano tutta in un labbro scettico. Ho ricordo di discoteche e superalcolici, i soli che apprezzassi: un po’ perché non mi piace la birra (e nemmeno il vino), un po’ perché avevo fretta di stortarmi. Così uscivo quasi digiuna, per cena un mestolo di zuppa
Un pezzo di stagnola
– È così che dovreste imparare la geografia.
– Non mi piace la geografia.
Eppure è quella che disegna sui fogli per lunghissime ore. È la stessa che stiamo facendo noi. Con un pezzo di alluminio.
Voglio essere il tuo primo numero di telefono
Voglio essere il tuo primo numero di telefono, in cima alla lista. Voglio essere il bello di restare a casa. Voglio essere il gusto della cioccolata a merenda, le gambe intrecciate sul nostro divano.
Sempre
Alcune di noi erano già buone alla meraviglia. Io sono una di queste, avrei detto. Ma non è mica vero.
Ché formiche ne ho viste a migliaia, nella mia vita. Poi uno di voi ne ha puntata una: una soltanto. E io ho capito cos’era una formica.
Il Dio speciale delle madri
Si scende come si scende negli scantinati. Dove finiscono le ridondanze del giorno. Cominci a togliere: il libro rimane sul baule, hai fatto due pagine e poi basta. Non esci, non ti muovi, non scrivi, spegni il televisore. Non mangi, nemmeno sforzandoti, perdi piacere in tutto e ti sale quella cosa che somiglia alla nostalgia di te.
I bambini arrivano come flash, ho abdicato da tutto, li vedo fare a meno di me.
E allora penso. Quando sei malato pensi un sacco. La gente in ospedale, i bambini, ma soprattutto le madri. Quelle malate davvero.
Gusci sotto i denti – Kids
A voi una lista di disturbi poco digeribili, la versione “kids” dei Gusci sotto i denti.
• La sveglia. Un sempreverde. Non sono mai riuscita, con nessuno dei miei figli, a sorridere in eterno nei loro risvegli neonatali e non. Il fenomeno è tra l’altro soggetto ad una strana legge di restringimento naturale…
• Il riordino. Come l’avete interpretata? Nel senso di mettere a posto? Vero, ma guarda caso va anche insieme a “ordinare di nuovo”…
• I litigi. Che poi è una parola davvero provocatoria, perché basta levare “ti” e i figli sarebbero ligi.
Devo dirti grazie
Mi reggevo ai buoni segnali che arrivavano, alle forze che scaturivano dai punti saldi, ai corrimani degli affetti: poche volte ho pensato davvero come stavi tu, alla tua lotta. Pensavo a sopravvivere, a tirarci fuori.
Così lo faccio adesso.
E mentre ti compro un menu che poi mi confezioni nella sua scatoletta coi manici so che non te ne sei mai andata.
Il privilegio
La cosa bella di mettere i miei figli a letto è la stanchezza.
Che ci sbanda. Ci fa mansueti. Indifesi, anche. Incuranti degli spigoli, dei contorni razionali, bestie libere.
Allora canto le stesse canzoni che mi porto dietro da quando sono nati, da prima ancora, che li traversavano in grembo, la raccolta buona del tempo che passa. Ascolto braccia gracili tornare molli, cercarmi fuori dal lenzuolo che sistemo milioni di volte. La luce la spengo come ultima cosa
Amare non è poco
Non è colpa mia.
Ho bisogno che tu lo dica, Professore. Non perché sono questa gran donna, potevo anche annegarci in quelle sentenze che rivendicavi: ho tenuto duro. Ho bisogno che tu lo dica perché io lo sapevo che amare non è poco.
In the middle of nowhere: l’età pensante dei figli
Poi arrivano i terrible two, la fase in cui cominciano a ritagliarsi un posto, a provare i confini. I terrible three, terrible four, terrible five. E vi lascio continuare la lista.
Ecco un piccolo compendio di situazioni nelle quali si esplica l’unica cosa davvero terrible (che non sono loro, né la loro età, ma la verità di esseri pensanti), a titolo di sfogo personale, di condivisione con le mie pari, nonché bussola per quelle madri che ancora navigano nel mare incontaminato della prima simbiosi:
Ma intanto il sole
È arrivato il sole. Quando entra me ne accorgo anche se gli do le spalle. Senza tanti cerimoniali lui si prende prima un trapezio minuto e smagrito sulla parete a sinistra, inghirlandato dai riccioli impressi dalle inferriate alla finestra. Poi si allarga, come un’idea che non accetta più di stare compressa in un angolo del cervello.
Arriva il sole, il mio saggio cane di compagnia
Le madri devono sapere
Le madri stanno in bilico dove la vita è tutta sé stessa. Inarrestabile, difficile, fresca, nuova, avvincente e testarda. Irripetibile
Da pets a zoo
E adesso arrivo al punto: mando un messaggio whatsapp alla madre dell’amichetto di mio figlio (una delle poche di cui ho il contatto) dicendo del fattaccio e di far girare voce, quella mi chiama e scopro che:
Pets
Pidocchi.
Sono al lavoro da 3 ore. Ho fatto solo 2 componenti della famiglia su 5.
– Mi dica, a caldo, come si è sentita?
– Mah, guardi… mi stavo rompendo i coglioni, sa, con la casa vuota, una donna abituata ai figli ormai da anni e vicina alla premenopausa può andare incontro a stati depressivi.
– Quindi?
– No, be’, quindi avere compagnia può essere un diversivo da non sottovalutare. Anche la sfiga, tra le altre cose, non andrebbe mai sottovalutata.
– Anche perché tra l’altro so di un grande amore di Sarah per gli animali domestici… o sbaglio?
Meno male che
Da mesi hai preso quest’abitudine di chiamare “sfortuna” ogni inezia. Vaghi per casa come un vecchio burbero, indispettito, “sono proprio sfortunato!” L’hai imparato da tua madre, a lamentarti così bene. Io un po’ mi salvo con l’autoironia, magari dopo t’insegno pure quella.
Piccoli passi
Ogni giorno vedo il buio che avanza, queste mattine sono sempre più timide, si accendono le luci prima ancora di uscire dalla stanza, non trovi le ciabatte, non becchi al volo la maniglia della porta. Ogni mattina vedo il buio che avanza e so che non cammineremo più.
La noia è davvero una buona consigliera?
No, perché… si dice che poi dalla noia nascono le idee migliori, la creatività, i voli pindarici. Perché è vero, bisogna fare spazio, ché mica puoi avere un’intuizione geniale in un fitto fitto di cose. O sì? Insomma anche sì, perché un pacco di idee e ispirazioni nascono facendo un pacco di cose in un sacco di occasioni. E dai.
Il ragazzino
Con quella cosa qui, di tuffarsi senza più argini e illuminarsi tutto quanto, ché anche i capelli schiariscono, io non l’avevo più visto.
A me bastava qualche ora
Improvvisamente il tempo allagava tutto.
Il tuo succo rimasto a metà sul tavolo della cucina, il passeggino che ormai non usiamo più, il davanzale provato da troppi fogli, da portapenne senza criterio né tappi, né punte alle matite.
Ci siamo guardati in faccia e di colpo ho capito: che io lo voglia o no, questo è il mio nuovo tempo. E mi è sembrato smisurato
Quarto piano
Non chiederle di Rosy. Se le chiedi di Rosy finirai col piangere. Ti chiederà come stai, come stanno i bambini. E tu non aspetti altro, oggi. Null’altro che una di quelle acquasantiere in cui sciacquare le fatiche. Il suo viso così delicato sarà irresistibile, ti ha preso in braccio quei giorni che Sarah aveva poche settimane e non mangiava. Ti diceva come spremere il seno per far uscire più latte. Ti diceva ci vediamo giovedì alla stessa ora. E a te bastava, perché una mamma impaurita ha bisogno di certezze, di un giorno e un’ora.
Ciao amore, a dopo
Va bene vederti felice, là in mezzo, in questo inizio. Ne ho bisogno. Ho bisogno che la tua autonomia mi renda orgogliosa, mi sussurri hai fatto un buon lavoro
Senza caramelle
Ha ripreso con le nausee, i crolli. Chiamali come vuoi, dottore, chiamali attivazioni emotive, usa il tuo linguaggio arguto e accademico, strapazza due genitori rimasti accanto a un cesso mezzora, stamattina. Lui la teneva ferma, io infilavo le maniche, i capelli restavano così, in mezzo, li tiravo senza volerlo
Fino a qui
Basteranno poche settimane, e sarà così ovvia la nuova vita, ripenserò a quando era altrettanto naturale averti in canottiera per casa e mi sembrerà impossibile.
Vuoi che ti dica che non importa, che quello che abbiamo vissuto ci ha costruite, che resta intessuto nei nostri cuori? Resta. Rimane. Il sapore vago, le energie che abbiamo accumulato, la spinta che ci ha nutrite. È grazie a quello, che siamo arrivate fino a qui. Tutto il resto, però, sfuma. Dimenticare è il prezzo dell’adattamento.
Un filo nel vento
Imparare. Da capo. Non tutto, ti tieni quel tono che ti sfugge, troppa dolcezza ti sfigura. Ma devi smetterla di difenderti, prima, e di colpevolizzarti, poi. E imparare: la possibilità di quei piccoli sgorbi materni. Che poi tua figlia ci ha disegnato sopra. E poi ti cade una goccia di succo, non te ne sei accorta. Sembrano gli occhi di un corvo nella notte. A te non pare, e a lei fanno paura.
That was my time
Mentre Sarah crea un gioco nel quale spende parole a secchiate per dire chi vince e nessuna per illustrare come si gioca, io vedo aleggiare davanti agli occhi una semplice frase tagliente:
THAT WAS MY TIME
e ripenso a quanti my time ho dato via per i figli…
Qualcosa
Tieni una cosa che ti renda riconoscibile, mentre cresci.
Un dettaglio che rimanga, identico, negli anni. Uno dei tuoi boccoli, ad esempio. Che non sia stirato dalle cose comuni.
Tieni qualcosa di adesso, per quando sarai una ragazza, per ogni giorno che ti conosco da capo e vorrei un capo di questo filo, un segno
Ce sera tout, merci
Torno che sono come il portellone dell’automobile: non si chiudeva, c’era qualcosa che gli impediva quel click finale e salvifico. Parto così: gonfia. La nostalgia che mi lascia il bagagliaio spalancato.
I miei figli sono simpatici dopo le 20
– Una volta facevamo il tour delle chocolaterie – dico a Mathias memore dei nostri giri francesi di un tempo. – Adesso si fa il parc-tour.
Però va bene. C’è chi dice che i genitori non devono pensare a rendere felici i figli, che quello non ci spetta, che l’importante è essere felici noi: be’, a me vedere tre scimmie appese a una liana fa felice. Non importa dove comincia la felicità, l’importante è che cominci.
L’ ANTI-pasto
Il pranzo fuori casa, a portata di casa!
• Si mangia ovunque, anche in piedi.
• Possibile la formula eat&dance per la quale il padre dispone apposito Mac su canale youtube con musica continua.
• Altre possibili varianti alla noia prandiale: nuoto in piscina sgonfia ma comunque dotata di acqua (il bello della montagna è che puoi comunque fare il bagno, mentre difficilmente chi è in spiaggia può fare trekking). Badminton, qui rinominato volano o piumino per non dare troppo sfoggio del nostro lusso acquisito.
Tocca a noi. Partire
Giulia ha regalato un peluche a Sarah, veniamo via da quest’ultima seduta prima delle vacanze. Lo stringe a sé con tenerezza, noi stringiamo mani, buone ferie.
Siamo qui, su quel punto che spezza la retta, vicini alle foto che affollano i social da tempo, mari e montagne altrui, bambini in costume. Tocca a noi. Ce la facciamo
Se vai via senza figli
È che ci sembra impossibile lasciare Mammolandia. Non ricordiamo quanto possano essere incredibilmente piacevoli certe forme alternative di felicità ordinaria.
“Troppo grossi”
– Neanche a te piacciono molto gli psicologi?
– Non è che non mi piacciono, è che arrivano troppo grossi.
La successione delle cose
Mi mancano le mattine e mi mancano le sere. Scandire la giornata in quel modo che hanno loro, che sanno senza sapere le ore, che conoscono la successione delle cose. Quanto vorrei sapere, anche io, la successione. Che cosa viene dopo, Sarah? E poi prendervi e amare. Uno per volta. Tutti.
Capendo che
Sto imparando. A non fare eco, dentro. Quei sassi che lancia suo malgrado mi cadono negli occhi e io li tengo, non ascolto il ridondante formarsi di anelli perpetui e concentrici.
Nonostante l’amore
Spezzetto le giornate, come gli alcolisti. Mezza alla volta, un’ora. Le riempio di telefonate. Quando la sera rientra Mathias io scappo
Una famiglia per bene
Invece può succedere a tutti, sai? Che sei perfettamente in bolla, cazzo quanto sei dritto, sei il filo a piombo della maternità, le brevi oscillazioni si sono ammortizzate subito, vai giù diritto che sei una meraviglia. Eppure lo smacco ti arriva uguale, ti becca lì in mezzo alla fronte come il colpo d’un cecchino.
Sei partito
Buon viaggio, piccolo stambecco.
Mi sono alzata per salutarti prima che papà ti portasse là fuori, su quei gradini sciacquati dal sole. Parti felice, non sai lavarti bene i capelli da solo, anche coi lacci degli scarponcini sei piuttosto impastato, ma esci leggero, un pacchettino di cracker in tasca, esci più forte di qualche dubbio, più forte di noi, lasci questa casa e queste cose come sono rimaste: tua sorella è tornata dall’ospedale, non è cambiato niente, percorriamo lo stesso filo che ci tiene su a fatica.
Io sono appena dietro
Mi manchi in questa casa in queste ore come manca chi è lontano nei gesti. Sarebbe diverso, vedere il tuo letto con le bambole che Isabelle ci ha messo, oppure trovarvi lei che ci si infila. Sarebbe diverso il tuo posto non più conteso a tavola, e anche i disegni che stremano il davanzale. I tuoi capelli sul pavimento, quelli rimasti annodati in elastici che intorno raccontano le tue traiettorie.
Se fossimo ancora perfettamente “noi”.
Il cavalcavia
Stai lì, ti schiacci in dieci minuti. Sono sfollati i genitori, si sono presi i figli. Il punto di ristoro che avevo chiesto. Non me l’aspettavo così. Fa un po’ come quei bei paesaggi rurali, le spianate tra i campi, le risaie. E poi ci montano sopra un cavalcavia. Sarah, questa situazione: è il mio cavalcavia.
Se decidi di restare a casa
Devi sapere che ci vuole coraggio per lasciare il piccolo. E, molto, ce ne vuole per restare. Le giornate si distingueranno in buone e cattive in base a: quanto ha mangiato, quanto ha dormito, quanto ha pianto. Quanto ha obbedito. Se sei riuscita ad andare in bagno da sola, se ti sei sentita una buona madre. Devi sapere anche che sbaglierai sempre: se ti prendi uno spazio, pretendendolo. E se ci rinunci, immolandoti. Nel primo caso sarai egoista. Nel secondo sarai una mamma che “ama troppo”.
Il venditore
Finché tra una biciclettata e l’altra da e per l’ufficio nonché a pelle-cotta nel sonno il mio prode cavaliere boccheggiante incomincia a presentare segni di serio coinvolgimento alle ultime esalazioni della mia domanda sul climatizzatore. Ed io ritrovo un piccolo entusiasmo. Che gli offro accanto a un doveroso: “Amore mio, adesso me lo dici? Va’ che ormai non si trova un cazzo. E anche se trovi, non trovi chi te lo installa.”
Ed è lì che arrivano le gambe (quelle di chi non ha testa).
Grazie per essere tornata
È passata. Come passa tutto. Le madri se lo dimenticano, che le cose passano: ci stanno dentro come in un mare eterno. D’altronde lo sai com’è il mare? Se ti pianti bene in piedi sulla spiaggia, e guardi l’acqua, e poi spingi gli occhi lontano, ancora più lontano, sempre più lontano… potresti giurarci che tutto il mondo è acqua. La maternità è questo. Ed è una gran cosa. Solo che a volte, nei momenti tosti, sarebbe consigliabile guardare a lato, vedere in una lingua del litorale la possibilità certa di un po’ di terraferma
Giocare con te è come…
TRE ETERNI PUNTINI DI SOSPENSIONE
1. La decisione: normalmente lascio che tu scelga il gioco da fare. Poi annego in improbabili fuori programmi nei quali lasci a metà dieci cose in contemporanea e io cerco invano un filo per partecipare in prima linea.
2. La solitudine: hai deciso che devi fare il bagnetto alla bambola nel lavello della cucinetta in camera tua. Io l’asciugo, ok? No, mamma. Allora io ne prendo un’altra. No, mamma. Allora cucino qualcosa. No, mamma. Allora cosa faccio? Tu aspetti, mamma
A spasso con Kick
Nei primi isolati accenno qualcosa, cerco un contatto oltre quella sua mano che mi ha consegnato, le sue unghie che ho dimenticato di tagliare. Poi resta la mano. Di fare grandi discorsi non c’è bisogno: è già un maschio, i silenzi sono comodi, sicuri, senza incertezze. Penso che in fondo è anche un sollievo e mi sembra di capire quello stare degli uomini, a gambe larghe, in piedi, fermi: anche zitti
Quello sbrego che la maternità non può dire
Cammino e non lo so.
E adesso vorreste sentire il cuore di mamma: “Ma dove credi di andare? Tutta la tua vita è a casa, da loro”, e vedere che pian piano accelero, mi butto al collo quelle tre scimmiette. Oppure la gran Donna, quella che “è”: prima, durante, dopo i figli. Statuaria, salda.
Non sono nessuna delle due
Tre figli e un maggiordomo
Si stanno creando strane costellazioni qui in casa, ultimamente.
A un estraneo potrebbe sembrare che io abbia un domestico: lava i piatti, sostituisce lampadine, spazza il terrazzo. Guida una vettura conducendo la famiglia nel luogo desiderato. E ancora: vuota la lavapiatti, stende il bucato, spesso cucina.
– Quanto le costa, signora, questo maggiordomo?
– Mah, guardi, in verità pure i soldi li porta lui.
– Ma scusi, lei è in vacanza?
– No, questo mai.
Valigie da chiudere
Pensavo meglio. Lo dico. Quattro giorni forse erano fin pochi. Così non ho fatto in tempo a incazzarmi per il clima. Però non ho nemmeno mollato tutta quella zavorra che credevo, in mezzo ai prati alti, nelle gioie che, pure, ci sono state.
Mi siedo qui, sul bordo di questo divano, le valigie affamate nelle altre stanze, e nonostante tutto mi arriva quella cosa che arriva sempre quando chiudi: tutto si arrotonda.
Certe madri
Ci sono madri che come voi allattano, come voi vegliano. Come voi annegano in quel minuscolo mistero.
Eppure non ce la fanno. Non sempre. Perché ci sono figli che non s’acquietano. Non hanno un solo intervallo, hanno un disturbo fisico, hanno più coliche. Hanno meno sonno. Sono più suscettibili. Hanno più bisogno. Sono semplicemente più impegnativi di altri. Oppure ha meno flessibilità la madre. E resta un piccolo varco, tra i due mondi, un’incrinatura. Che nulla c’entra con l’amore.
Verità incomprensibili ai bambini
1. I mozziconi del naso possono essere riposti in un fazzoletto di carta o, se secchi, buttati per terra. Appiccicarli al muro, invece, produce antiestetiche macule destinandoli, tra l’altro, al distacco prossimo.
7. Una goccia di sangue non vi farà morire.
11. Per i maschietti: il pisello è ben attaccato e non si sentirà solo se per un po’ lo lasciate stare.
Stlüt: passo e chiudo
Partiamo dopo le prime due dosi di antibiotico e dieci puntate in bagno. La macchina piena, seduti dietro, voi, tu al finestrino. Lo sai qual è il bagaglio più grande? Quello che riempie il baule, che mi porto dentro a ogni sosta? Noi: ho bisogno di mollare i pensieri come quelle bestie sull’autostrada nell’afa. Legate a un guardrail
Sei una brava madre
Sei una brava madre.
Anche se non l’hai sentito piangere perché la lavatrice era in centrifuga e tu… ti stavi asciugando i capelli. Allora sei corsa di là, c’era un sibilo, arrivi, il piccolo è rosso. Tardi, ma sei arrivata. Coi sensi di colpa, perché sei una brava madre.
Ti conviene amare
Avevo appena rovesciato il caffè. Una tazza intera, sui miei fogli, il mio libro. Mathias entra dal giardino. Cosa fai?
Eh, non hai sentito? Se non accendi il telefono, non guardi skype.
No. Non accendo. Non guardo.
Oggi va che mi prendo un giorno dalla maternità, mi riduco al minimo sindacale
Tu. (Mi mancherai)
Diventiamo noi, talmente, ogni mattina quando il sole dentella il muro qui fuori. Quando ti prendo e gli altri sono già andati. Diventiamo due, e invece di sciogliere così la presa, attecchiamo in quest’epoca come piante buone. Non più una nell’altra: accanto.
Sei talmente tu, adesso, che questa casa sarà talmente senza.
Un’altra corsa
Forse avrei corso.
Così, per misurare gli anni. Per il sapore di quelle volte che il sabato di spesa ne facevo poca, quanto potevano permettersi due braccia da single. E poi c’erano lunghissime sere e interminabili passi ai bordi del naviglio, di là i palazzi, i tram, le automobili della movida, di qua io e altri coraggiosi, ad addomesticare una solitudine.
Avrei corso in un bisogno sottile di essere io. Di vedermi quando togli le commissioni, gli appuntamenti e i figli. Che faccia ho.
Lettera di un bimbo appena nato alla sua mamma
SIAMO L’ORIGINE UNO DELL’ALTRA. E COMINCEREMO PER SEMPRE.
Ciao mamy.
Come stai?
Ho fatto un po’ fatica, spingevo coi piedi, dal fondo della caverna dove sono stato nove mesi. Spingevo e spingevo e non sapevo: volevo uscire e volevo anche restare dentro. Dicono che tutta la vita, in fondo, è questo: curiosità e paura. Lasciare e trovare.
Io so che tutta la vita sei tu. In ogni caso.
Prima. Durante. Dopo.
Cosa regalare a una neomamma
Ti vengo a trovare, neomamma, ti porto i miei fiori preferiti se non conosco i tuoi. Ti porto anche il vaso, così tu non ti alzi.
E poi ti do un biglietto semplice, facile: ci scrivo TEMPO.
Tempo da sola col tuo piccolo, mi metterò alla porta, sarò la sentinella che manda via i visitatori quando vuoi riposare.
Tempo per non fare nulla: ti metto su una pasta, il tuo dvd preferito, ti accendo una candela. Tu pensi al piccolo, e io ti faccio un piccolo albergo.
Mano nella mano
C’erano due donne per strada. Camminavano per mano.
Una era una signora di mezza età, l’altra, più anziana, probabilmente sua madre. Procedevano zitte di quei dialoghi silenziosi e inaccessibili agli estranei. Lentamente. Quella mano solcata dal tempo stava sicura custodita dalla più giovane.
Ho pensato a quando terrai la mia. Perché barcollo, sono cieca, vecchia, rimbambita.
Io, tra le due, tirata piano dal tuo vigore. Io, tra le due, quella che parla buffo, che biascica.
Saremo noi, soltanto un po’ al contrario.
L’occasione
Ho maturato l’indecente capacità di pensare liberamente ai fatti miei, ad altro, mentre leggo storie ai miei figli a voce alta. Così giro le pagine e fra una e l’altra lampeggia una fioca consapevolezza: “Torna qui.”
Mi devo sforzare, concentrarmi. La stringo come l’ennesimo fastidio della giornata. Lei, mia figlia.
Perché quando tuo figlio ti reclama alla fine di una giornata di merda, tu pensi all’ennesimo conto da saldare.
Mentre gli altri dormono
Tu e io.
Certe mattine ho sperato di entrare e non avere nessuno. Impadronirmi della cucina: io, e i miei sbadigli. Avere un piccolo tempo come un segreto, la conquista conseguita con le vostre notti finalmente lunghe.
E invece appena spunto nel corridoio, la casa ancora bevuta dal buio, guardo subito avanti, se la porta è aperta, se vedo una lingua di luce. Trovare tutto identico alla sera prima, la soglia intonsa, la stessa penombra, quasi mi delude.
Ma sei lì. Prima di me, il più dei sabati mattina. O appena dopo. Quando il caffè sporca il fondo della tazza rosa e sul mio piatto restano le spoglie di una banana. Siamo la stessa impazienza, il sonno leggero
Il paradosso di crescere
Noi ammiriamo con indicibile incanto quella lentezza che hanno i nostri figli, la minuziosità nelle cose.
Eppure gli insegniamo la velocità.
Guardiamo la loro tenacia nell’insistere in un tappo da chiudere, una zip da incastrare,
ma li esortiamo “sbrigati!”, a fare in modo più efficace.
Godiamo di quella loro spontaneità disarmante, ma li istruiamo all’eleganza dei gesti e delle parole
Le mamme finiscono in “ingo”
– SPINGO: ho spinto nel parto, per darti alla luce. Ti spingo sull’altalena, a giocare, a fare, scoprire. A sognare, desiderare. A essere: quello che sarai.
– DIPINGO: principesse e castelli sulla carta ma anche facce tristi o incacchiate nel purè. Felici non le chiedi, perché lo sei già tu.
– ATTINGO: a tutte le mie forze mentali e fisiche, per rispondere al tuo imprevisto infinito. E sono fortunata che mi hai aperto dentro un pozzo come una sorgente, e che quell’acqua non si esaurisce mai.
Guardando. Ai miei figli
Ti guardo e so: ce la farai, nella vita.
Certe persone ci nascono, con quella levità che altri per una vita intera rincorrono in nostalgie vaghe.
Sei una stanza dove è sempre mattino, sempre l’odore buono di una finestra appena aperta, e quei torrenti di sole. Non ho paure per te, Sarah.
In caso di vacanza
Non so voi. Anzi: lo so. Se le scuole sono aperte voi siete a lavorare. Se le scuole sono chiuse voi siete a lavorare. E i bambini dai nonni. No?
Be’, qui funziona all’incirca così: scuole aperte, un solo figlio a casa. Scuole chiuse: 3 figli a casa. Io: comunque a casa.
Ecco come (soprav)vivo nei periodi delle loro vacanze:
Al mattino, intorno alle 11, li accolgo con un dolcissimo buongiorno, la torta appena sfornata emana il suo aroma inebriante. Tutti accorrono felici e impazienti. Poi li coinvolgo nello sparecchiare, loro aiutano con entusiasmo nel lavare i piatti, rifanno i letti mentre ancora glielo sto dicendo
Il farmaco n.1 nel mondo
Categoria farmaceutica
Movimentatore della vita domestica ed extradomestica, stimolatore dell’attività cardiaca.
Che cos’è e a cosa serve
Maternità è un farmaco indicato in tutti i casi di aumentato fabbisogno di amore e desiderio di significato.
Cosa sapere prima di assumerlo
Non prenda il farmaco se è allergico ai bambini o a uno qualsiasi dei loro componenti, non utilizzarlo come cura palliativa per amori finiti.
14 lettere
Guarda che non è così terribile. Vuol solo dire che ti sputo nel mondo un’altra volta, Isabelle. Come quando sei nata. Uscirai da una casa, dalle mie braccia, da queste stanze e da questi giorni noti. Così come sei uscita dal mio ventre tre anni fa. E non si torna indietro. Nemmeno questa volta. Comincerai il mondo.
A me è questo che scuote. A tua mamma le definitività fanno quell’effetto lì: si guarda i piedi anziché guardare avanti.
E invece l’asilo è una bella cosa. Un inizio coi sacri crismi. Fidati.
Il prezzo del cinema
In caso di proiezioni per bambini dovrebbero evitare trailers e ridurre il volume. Ma tant’è. Lo spettacolo finalmente comincia quando la pazienza della petite finisce (e anche la mia).
Cantano. Nel film cantano e poi cantano e poi cantano, e comincio a sospettare che non solo i trailer ma anche il film stesso sia del tutto inadatto a una bambina di tre anni. E a sua madre, notoriamente allergica al Kitsch e ai musical (questo film è entrambe le cose).
Dopo mezzora di strenua resistenza porto la piccola fuori, con vistoso sollievo anche della sottoscritta: vederla saltellare euforica su quelle piastrelle gialle e grigie è il momento di maggior sollazzo per entrambe.
Perché ti ho detto no
Ti ho detto no perché mia figlia mi ha detto vieni, e io sono andata. Non ho detto aspetta, non ho detto un attimo. Sono andata e basta. E ho conosciuto la soddisfazione di esserci, per una volta, subito. E la sua faccia bianca volava.
Ti ho detto di no perché alle cinque prendo gli altri miei due figli a scuola, e non voglio essere, nel folto della folla, la faccia corrucciata che un amico mi ha indovinato ieri. Quando chiedeva – Cos’hai? Sempre così – increspando la sua fronte a imitazione della mia.
Ti ho detto no perché viene la primavera, e compreremo piante e fiori nuovi al vivaio
Tulipani e ranuncoli
Potrebbe piovere. Per questo alla fine ho infilato quel piccolo ombrello in borsa. Lei sorride, ha visto che la mia borsa è gonfia come una pancia gravida. Deve starci dentro tutto: i farmaci che prenderemo in farmacia, che però mamma io non voglio andare solo in farmacia, il mio portafogli sgangherato pieno di spiccioli per i carrelli, i panettieri delle merende improvvisate coi fratelli, le chiavi col papero.
“Fiori”, le ho sussurrato all’orecchio mentre gli altri chiudevano la porta uscendo sul giardino. Ci compriamo dei fiori, Sarah: io a te, tu a me.
Finte priorità
“Un attimo” è la risposta cult. Quell’attimo è così largo che la maternità ci entra tutta dentro. Tutta intera.
L’altro giorno Sarah era al cesso, mi chiama una volta, due. Lascio passare almeno due appelli, al terzo dico “un attimo”, al quarto “un momento”. Al quinto mi rispondeva sospesa con le sue gambe ancora corte sulla tazza: “Mamma, i tuoi attimi durano troppo.”
Certo, perché sono una bestia.
Se ti dico TVB ogni giorno
Io lo so che sbatterai porte. Che mi perderai di vista. Ti ribellerai stretto tra un mondo che ancora non ti appartiene e una madre che non ti appartiene più.
L’altra sera, non so di cosa parlavamo, hai detto serafico “guarda che io mi staccherò da te!”
Chi te l’ha messa, quella cosa in testa?
La prima pace
Le mamme notano un sacco di cose, e le prime le segnano da qualche parte. Ma a volte non deve essere per forza quel grande evento, magari non è una gloria, è una sfida. Magari la prima increspatura. Io prendo anche quelle. Forse perché obbedisco alla forza, non al giudizio.
La prima sgridata.
La prima sgridata è la prima. E io sono abbastanza matta da pensare che ha il suo bello. Perché poi viene la prima pace.
Intimità
Sono giorni buoni. Filari di viti.
Di tre figli ce n’è sempre uno che scivola, sfugge. Qualcuno con un piccolo brivido di paura, un malcontento. Una piccola fatica. Come nelle gite in montagna, tirare il più lento, motivare, aspettare. E c’è sempre il più leggero, quello che salta le radici, ride ai fossati, schiamazza nei ruscelli, insegue i girini.
– Tu ci riesci a essere innamorato di tutti nello stesso momento?
Mathias ha il pc sulle gambe, seduto nella poltrona a righe.
– No.
Il controviaggio della maternità
RITORNARE, POI, RIPROVARE LE DIVISE ACCANTONATE: È UN ALTRO VIAGGIO
Noi molliamo tutto per un viaggio.
Chiamato “figlio”.
Lo allattiamo, lo culliamo, lo interpretiamo. Accatastiamo, da un lato della stanza, le nostre vecchie divise.
Perché quando la giostra parte tu puoi fare due cose: ostinarti a salvaguardare un cencio della tua vita. A non farti corrodere.
Oppure: puoi salire e girare, nella meraviglia centrifuga della maternità.
Lovely mornings: la fase “facile” della maternità
Varianti distribuite random durante la mattina: la doccia nell’armadio, la copertina che fa d’asciugamano. L’amore per i panni, come una brava massaia, si estende quindi allo stendere e piegare. Riporre mutande nei cassetti della cucina è un’abitudine bizzarra che ti torna utile scoprire quando cucini nuda e cerchi un mestolo.
Un giro in macchina poi non si nega a nessuno: mamma questa è la cintura, questo è il guido, se la macchina si rompe la portiamo dal caccanico.
Siamo ufficialmente nella fase elastica della maternità
Mamma: istruzioni per l’uso
1. Tua mamma ha due tette, non di più. Consumata una e l’altra, per favore, acquietati.
2. Esiste anche un papà: non te ne frega niente. Ma a lui frega più della sua stessa vita. Basteranno pochi minuti, e vi apparterrete. Non dimenticarlo. Nemmeno, anzi soprattutto, di notte.
9. Cammina sicuro nel tuo barcollare: puoi contare sulla sua mano i primi tempi e poi, comunque, sulla sua presenza. Però, se puoi, non contare sulla sua schiena.
10. Sostienila nei giorni di solitudine: falle la corte in quel modo che solo tu sai. Le irrigherai il cuore.
Buon compleanno
I fondali si schiusero, davanti a me le gole degli studi si spalancarono e dentro non c’era più un medico, né un tavolo: c’era una culla. Culline trasparenti, allineate, salgono acuti i violini, e sono nursery, quelle stanze!
Si è fatta timida ogni altra paura. E io mi alzo. E ballo.
E in quel momento capisco. Che tu ci sei.
L’Incarico
Far digerire le regole ai figli è come nascondergli la verdura nel sugo della pasta. Lo capiscono subito che quel mettiti il pigiama, declinato poi in ti ho detto metti il pigiama, adesso metti il pigiama o non ti leggo la storia ha a che fare con qualcosa di ostico.
E allora perché non frullare le regole? Sì, come la verdura.
L’altra sera mi viene l’idea geniale.
– Sono le nove e venti. Alle nove e trentacinque dovete essere sotto le coperte. Lavate i denti, mettete il pigiama, guardate il cartone: gestitevi voi.
Io passo il tempo
Io passo il tempo a guardarti. Come si guarda un punto lontano, che non s’indispettisce. Come si guarda un punto così vicino, che ci affoghi dentro.
Io passo il tempo a guardarti quando siamo addossate, l’una all’altra. Magari nell’ultima coccola della giornata. Magari la prima del mattino. Di poche cose, con rare persone, si può avere questo vezzo, questo privilegio.
Io passo il tempo a ridere con te. Perché ti prendo in giro e tu sei ancora troppo bella per restarci male, e sei già molto saggia per capire l’ironia
“Anticipo” comincia come “antipatico”
Dicono che nella vita ogni tanto bisogna cambiare il punto di vista. Come ne L’attimo fuggente. Il professore saliva in cattedra e da lì il panorama era tutto diverso. E allora siccome è sempre lui a portarli a scuola e poi va dritto in ufficio, questa mattina schiodo io. E capisco un sacco di cose.
Innanzitutto l’attimo è proprio fuggente: – Ma voi, quindi, volete dirmi che uscite ogni giorno con questo freddo?
Canzone di una madre
Chissà chi sei ora
Domani chi sarai
Ho sbagliato mille volte oggi
Sono una madre che riparte da zero.
Pacchetti d’intimità familiare
– Buongiorno, dica.
– Ehm, vorrei un chilo di buonumore, due etti di vacanze, un paio di… quelli cosa sono?
– Abbracci normali. Le consiglio però quelli extra, sono più grandi e ci si sta anche in tre.
– Ma tipo… qualcosa di originale, non ce l’ha?
– Ah, questi! Questi stanno andando tantissimo in questo periodo! Sono pacchetti di intimità familiare. Coadiuvano vita domestica, lentezza, letture e giochi di società. Funzionano così…
La “saggezza educativa” dello sculaccione
“In realtà un figlio amato accetta tranquillamente uno scapaccione e dopo un istante torna a sorridere a fianco del genitore e a giocare”.
E cosa dovrebbe fare? Odiare per sempre?
Un bambino, caro don Andrea, è mille miglia più avanti di un genitore in quanto ad amore e gratuità. Più avanti degli adulti, e, di sicuro, più avanti di te: un bambino ama, sempre e comunque, i propri genitori, perché la natura l’ha fatto così.
Non direi “accetta tranquillamente”: direi, invece, “ama nonostante”.
L’amore, innanzitutto
Ho visto palate di bene, in questi giorni. In quel disegno che poi porta, con la pasta molle per attaccarlo bene. Nei loro gesti piccoli e precisi la sera quando mi aiutano a preparare gli zaini per la scuola, i grembiuli, le merendine. Nei buonanotte che mio marito ci ha lasciato sui cuscini, baci di carta da labbra vermiglie. Nelle cure del personale ospedaliero, nei camici che spaventano e poi smettono di fare paura, perché hanno parole piene di premura, e sguazzano in larghi sorrisi.
Codice giallo
Giro la chiave nella toppa del cancello: Patrick, Sarah, io. È notte.
Mio padre ha riavviato il motore, sono riuscita a non gocciolargli addosso. Va. Tutto sommato non è nulla ti dici, infili due bambini in casa eppure il nostro posto macchina è vuoto. Com’era vuoto l’ascensore in ospedale, quei bottoni sulla pulsantiera mi sembravano una faccia, pur di scalzare la solitudine con cui venivo via. La casa ha nuovi silenzi, papà è rimasto con la piccola, in quell’edificio alto
L’importanza di ammalarsi a turno
Al mio fianco, nella buona e nella cattiva sorte, Mathias decide per la seconda, e sfodera a sua volta il numero vincente della lotteria: 38. Mentre Patrick riprende quota e forze ti chiedi, gemente, a chi affidare tre figliuoli, che paiono improvvisamente scoppiare come quella birra che mio marito è solito dimenticare nel freezer.
Sotto le antenne natalizie di un cerchietto rosso
Pensavo di non piangere. Sono venuta qui spuntando sulla lista: recita Patrick, fatto. Invece ti ci piglia dentro, sempre. La penombra, la musica, la solennità che è come essere in chiesa. Io sto piantata come una colonna, sembra quasi un funerale, sto seria perché sono tutta compressa, se vedi che non sorrido è solo perché mi tengo composta. Impegnata.
Ogni Natale
Cinque minuti per respirarmi il Natale… Non per obbedire alla nostalgia, né per contare i trofei. Solo per esserci: tutta intera. Un figlio dopo l’altro. E sapere che è in queste grandi cose che trovi quelle piccine. In queste tappe vedi la strada
La sfiga è la madre delle alternative
Il negozio è semivuoto, io lancio la mia domanda dopo tre doverosi minuti di autosbrinamento approfittando di quel climatizzatore che la pianta sullo scaffale sbanda ubriaca nel suo piccolo vaso. Fare domande in un negozio cinese, d’altronde, è sempre una temeraria scommessa: chissà se capiscono.
Un quarto d’ora. E sia.
La nostra donna è il formato cinese dell’Orso Yoghi. Sarah cominci tu?
Tu party? Io no
Passerai le cinque lavatrici successive a spennare calzini antiscivolo pieni di erba sintetica perché – va da sé – le feste fighe non si fanno più a casa della mamma o dei nonni, sul terrazzo in estate, in oratorio in inverno: si fanno nei megacentri di gonfiabili & co. Al limite ai Mc Donald’s, dove con gaudio nauseabondo ingurgiti il tuo Big Mac alle ore diciassette e dieci, e poi finisci pure le frites dei figli, rutti a suon di coca cola troppo gassata e, infine, logicamente metti su una pasta quando alle 7,30 pm rincasi e vorresti sbracarti sul divano in cerca di silenzio, la bolla al naso, la tv che gira a vuoto.
Poi ti arriva lui: l’invito alternativo.
L’amico
Succede. Prima o poi arriva sempre, nella vita di ogni bambino, quel momento che l’amico non è più suo amico. Si fiutano, si scelgono con quella facilità che i grandi gli invidiano: – Vuoi essere mio amico? – Si giurano eterna fedeltà.
Con la stessa facilità si mollano.
Il punto è che non voleva giocare “alla scuola”, dice. Che è un gioco “da femmine”.
L’ultima
Arrivare per ultima. Ultima. Ultima.
In qualche momento dell’ingranaggio, non so dove, ho sbagliato qualcosa.
Prendere tua sorella dal lettino, le calzine, i leggings col fiocchetto di brillantini, il berretto da bebè che le fa il viso tondo come l’oblò di una nave, legarglielo sotto al mento dicendo guarda in su. La giacca, scaraventarla nel passeggino, le scarpe, le sue, le mie.
Tutto come sempre. E invece era irrimediabilmente tardi.
Compiti di scuola: a vostro figlio richiedono ore, io vi chiedo cinque minuti
Vorrei che i nostri figli, il sabato e la domenica, potessero essere bambini. Non alunni a tempo pieno. Che potessero guardare mamma e papà senza chiedersi: “Perché voi potete riposare e io devo studiare?”. Vorrei che la famiglia potesse organizzare di fare mille cose. Oppure nessuna. E che, in questa scelta, fosse libera, non condizionata da un estenuante “dobbiamo tornare a casa perché lui/lei deve studiare.”
Una solitudine
E io faccio la cosa più bella per me e la più brutta per una madre:
scelgo me.
Dico loro, dico chiaro: nessuno mi ha aiutato. Sto male, non dormo, piove, Patrick piange. Nessuno vede la fatica che faccio.
Quando un figlio cresce
Da otto anni porto con me i miei figli. Ogni volta che esco me li carico tutti e tre. Ogni volta che uno è malato chiamo qualcuno che vada a prendere gli altri a scuola. O qualcuno che resti con lui a casa.
Il giorno in cui cominci a ragionare per te, uscire chiedendo chi vuole venire. Quel giorno sembra quasi innaturale, è un’incredibile rivoluzione
Il lampionaio
La sera è come accendere i lampioni. Passa un lampionaio negli occhi dei bambini. Tra le stoviglie da riporre, la tavola ancora in guerra coi resti delle pietanze, la scodella dove abbiamo risciacquato la frutta. A volte è un barlume veloce, una corsa a mettervi a letto, il capriccio dei denti da lavare. E poi le bocche che sanno di fragola.
A volte la fiaba più bella la raccontate voi. Il lampionaio vi ha messo addosso il suo mantello, gira seminudo e infreddolito per le vie degli altri. Vi ha lasciato uno stormo di stelle come minuscole magie, le mani piene di storie e di idee
Perché piangi?
Adesso sto lì come un fermo immagine. Punire serve a noi. Scarichiamo la rabbia e la delusione. Perché sono balle. Balle, che un genitore non può essere deluso, che ha fiducia cieca, che l’amore vince tutto. Balle. Come chi dice che una sculacciata ogni tanto va bene, rimette quei piccoli esseri al loro posto.
La punizione insegna solo la paura
Le madri piangono
Le madri piangono perché amano tanto da non sapere più altro. Perché dimenticare tutto è delizioso, perché dimenticare tutto fa paura.
Piangono accoccolate col loro neonato che null’altro è necessario. Piangono perché sono sole.
Piangono senza farsi vedere, senza dirlo a nessuno. Inventano luci e notizie, passano un dito sotto la palpebra, tamponano linee di matita che cola.
Madre on demand
Nel film Love story campeggia la frase: “Amare significa non dover mai dire mi dispiace.” Nella maternità la frase cult è: “Essere madre significa non poter mai dire vaffanculo.”
Invece io lo dico. Sia uno, sia l’altro.
Il suono delle stoviglie
Col tempo ho imparato la distrazione delle madri. Quel rovesciare le stoviglie nella lavapiatti che aveva mia mamma: sciacquava coi suoi guanti gialli oppure rosa che s’inseguivano a furia di dita ferite dai coltelli, poi si chinava a sinistra, allungava un braccio, i bicchieri di sopra le pentole di sotto. A mano quelle antiaderenti. I capelli obbedivano ai gesti: legati in quel codino col fermaglio in tartaruga oppure cadevano dietro alle azioni. Io la raggiungevo, mi appostavo al di qua di quel ponte levatoio d’acciaio carico di storie
Ti invidio
PERCHÉ TI BASTA LA VITA
Ti invidio.
Hai passato la mattina addosso a me come una molletta sul cavo dello stendibiancheria. Appesa. Tu, e le tue corde vocali ululanti, quel moaning mamma…
Ti invidio perché puoi chiamarmi. E sai che ci sono. Io, se ti chiamo, rispondi solo quando vuoi. E questo mi succede con tutti, bada, non è tua la colpa. Perfino se mi chiamo da sola a volte non ho risposta: i grandi si perdono in cazzate, piccola mia. E poi si cercano nei posti sbagliati
Incoscienze
E lo sapevo che non era nemmeno il momento adatto, così, il culo sul bordo della vasca, io. In piedi un po’ troppo in basso, lei. Domenica sera, che Patrick è già di là, che cosa ti metti a fare adesso? penso, non è il momento, Madda, non è proprio il momento. L’istinto, sì, ma dai, al volo, le forbici: le ho già in mano. “Allora, Isa?”
Ma sì.
Perché hai detto sì?
Le cose dei grandi
Non vedevi l’ora di metterlo, quel grembiule, lo sistemi camminando, sotto la cartella gigantesca. Goditelo, sarà la sola volta che è stirato, perché è nuovo.
Sai cosa t’invidio di più al mondo? La curiosità buona. Le novità per te sono magie. Hai abbassato il mento una sola volta, e nemmeno l’ho capito, lì fuori nel grande piazzale, se era per paura o per il sole.
Hai quella coda alta e fiera come te, un fuoco d’artificio, un entusiasmo di capelli.
State seduti!
IL GIORNO IN CUI ABBIAMO CREDUTO CHE LA CONOSCENZA FOSSE LA COSA PIÙ IMPORTANTE DI TUTTE, ABBIAMO COMMESSO UN ERRORE ENORME.
Arte, musica, esperienze coi materiali, natura, scoperte, lavoretti manuali, danza, espressione corporea: l’essere umano ha un disperato bisogno di queste cose. Perché a scuola se ne fanno così poche?
A scuola hanno un’ora di Educazione all’immagine, dove perfino una cosa bella come l’immagine deve portarsi addosso il fardello ingombrante della parola EDUCAZIONE. Dove anche la musica è “educazione”, dove tutto è “educazione”. Come se solo questo fosse il portale verso la crescita.
Cinque birre
Guardo quel ragazzo in coda dietro di noi: le sue cinque birre, lattine tranquille che occupano due spanne di nastro.
“Ah, che fortuna…”
“No, la fortunata è lei.”
Evoluzione della vacanza coi figli
PER CHI ANCORA NON SA, PER CHI INVECE SA MA CERCA CONFERMA. E, PIÙ DI TUTTO, PER CHI HA PROLE MISTA.
Ogni età ha le sue sfighe sfide.
– ZERO – SEI MESI: Fase della libertà.
– SEI MESI – TRE ANNI: Fase dello Zecchino d’oro.
– QUATTRO ANNI E OLTRE (ma già a tre, se ha fratelli maggiori): Fase del “non ho voglia”.
Dire Fare Riposare
Tanto per cominciare, figlioli, va spiegato che se facciamo mille cose per voi, percorso avventura, escursioni, pony, parco giochi, pedalò, e via dicendo, non è perché vi vogliamo un mucchio di bene, ma perché per fare le cose dei piccoli serve che ci siano i grandi, mentre – malauguratamente – non è vero il contrario: per fare le cose dei grandi (il parapendio, per dirne una) serve che non ci siano i piccoli.
La topografia della Felicità
“Disegna una piantina diversa, dove le città sono cose belle e le vie sono strade che somigliano alla destinazione, che hanno qualcosa in comune.”
Ha messo Montagna, ci arrivi con la Via della Cabinovia. Albero, ci arrivi con la Via Disegnare. Metrò, Via Correre. Buona Avena, Via Mangiare. Raggiungi Papà con Via dell’Affetto. A Mamma arrivi con Via della Felicità.
Ho già preso le tue cose
Dovrei saperlo. Dovrei sapere che quella sacchetta a quadrettini rosa col nome Sarah cucito da mia madre mi peserà un indomabile casino.
La districo dalle altre sacchette appese nel bagno, me la prendo per il suo lungo manico stringato. La sacchetta… adesso mi sembra la mano di un altro figlio. Sarah è già in classe, non ha la gravità dei finali. Guardo le maestre ancora un attimo, dico mi sbrigo, vado a piangere fuori.
Essere madre è roba per stomaci forti
E perché si chiami Madre Natura, che non ha mente, che non ha cuore, nessuno lo sa. Perché la fregatura è questa: che lei c’ha solo l’istinto.
Siamo noi le madri, quelle in bilico. Ci teniamo il neonato addosso per l’animale che è, i primi tempi. Poi la legge naturale non basta più. Sono di colpo persone, cervelli, relazioni. Il cucciolo è programmato per lasciare la madre, solo che a noi ci frega il cuore.
Se un giorno
Tornerai, qua e là. Verrai a Natale. Un compleanno, un anniversario. I tuoi figli con te, tua moglie. Oppure nessuno.
Sarai felice di vedere me e tuo padre. A volte, può darsi, ti costerà fatica.
Lo dico adesso, che sono forte e sicura. Lo dico ora, che sei facile argilla, ancora, e io spavalda: se un giorno, seduto con me, il tavolino basso in qualche salotto, una donna anziana al posto mio. Se un giorno dovessi sentirti a disagio con me… non risparmiarmi, figlio mio. Non mettermi in un canto delle tue ragioni
Ci sono sere che ti basta un muretto
Mi piace restare qui, sono nel basso del volgo, il ventre, eppure fa come essere su, nel nido di un passerotto. Non do fastidio a nessuno, nessuno ne dà a me. Poi guardo i miei figli. Io mi metto qui e guardo i miei figli crescere. Ascolto l’orgoglio arrivarmi dentro come una ricompensa.
Il Gruppo
Allora un’altra sera abbiamo il consenso a una foto: ogni famiglia fa un selfie per salutare il figlio, carica l’immagine, la butta nel mare del gruppo. Il cellulare si riempie di foto di sconosciuti, genitori che incroci di sfuggita, gente che per la maggior parte nemmeno saluti. Adesso li hai in ciabatte e pigiama dentro al telefonino. Adesso li hai tutti. Solo che qualcuno era perplesso: oddio, e se poi il mio piccolo si emoziona troppo? Forse meglio non mandarla, la foto.
Ho rischiato di non salutare Sarah (per quanto staticamente) perché M. non voleva emozionare T.
Raccontarsi
PENSA COME SAREBBE SEMPLICE: NON VERGOGNARTI MAI DI QUELLO CHE SENTI
Le hanno fatto una corona. Non è il suo compleanno, non è il compleanno di nessuno. Una corona di cartone, con le facce sopra.
Sarah me lo dice sdraiate sul letto, lei ed io. Io e lei che in un attimo mangiamo chilometri di silenzi. Non credevo fosse così facile. Me l’avessero detto, keep calm and lay down, non mi sarei scaldata tanto, tante volte.
Allora siamo lì, tutte e due dalla stessa parte, però al contrario
Il cielo da una bocca di lupo
Ai miei tempi erano pochi gli sfigati che restavano a scuola fino alle 4 e mezzo, il famigerato doposcuola dei figli di madri lavoratrici. Però facevano i compiti. E uscivano in cortile. E quando tornavano a casa potevano giocare. Adesso no. Adesso siamo attenti a tutto. Tutto a misura di bambino. Però poi gli diamo un orario lavorativo (non certo a misura di bambino), i compiti la sera. E nessuno dice niente.
Gli togliamo il giardino, gli vietiamo di scatenarsi. Otto ore di scuola e il gioco libero è il giro dell’oca, seduti. La raccolta dei Cucciolotti.
Vogliamo i figli cavia, i criceti nella gabbietta.
L’amore non basta a educare
Me ne frego, in fondo, se non saluti sempre con il sorriso, se non dici subito grazie alla panettiera che ti regala una focaccia. Me ne fotto del perbenismo da manichino. Ma non accetto che l’amore sia un pasto così magro. Che noi, tuo padre e io, incessantemente vi somministriamo anche sotto la forma di esempi, di buone azioni, di desiderio, di premura, di cura. Eppure lo digerite in fretta, avete fame, di nuovo. Sempre. E non ricambiate con eguale naturalezza.
Piccoli trucchi campestri
Vedi la madre che imbraccia il figlio stile baionetta, quella che lo raggira con squisite moine, quella che tenta la minaccia, il tiro alla fune, e, infine, l’intramontabile teoria dell’anatroccolo: la mamma papera si allontana senza figlio inscenando di andarsene, sicura che il piccolo, fedele anatroccolo, la seguirà subito. Poi torna a prenderlo da dietro il cespuglio dove quello si era piantato convinto d’essersi ben nascosto, e se ne va scadendo nella presa-a-baionetta.
Il desiderio conta più della paura
E così parti. Sono andata alla riunione, mi sono confusa con decine di genitori, culi impacciati su sedie minuscole. Ero l’unica che non sorrideva. Tu non lo sai, tu eri a casa coi nonni.
C’era il fermento di un mercato, voci da una bancarella all’altra, tutti e nessuno parlava. Nessuno ascoltava.
“Tu cosa porti?”
La gara non competitiva per preparare gli zaini
A cosa servono i bambini
La felicità mantiene le promesse, se la chiamano i bambini. Voglio restare così, follemente stupida, con un telefono di carta, i numeri a rovescio che capovolgono il giorno, lo girano dalla parte buona.
Ho paura dell’acqua
Tipo che al mare non ci andiamo mai, che se ci vado resto sulla spiaggia, e semmai scendo nella sostanza turchina che ho davanti solo fino alle anche. Tipo che mio figlio, il primogenito, ha visto il mare una sola volta, forse non l’ha nemmeno toccato, e un’altra ci siamo andati fuori stagione, che così avevamo tutti la nostra buona scusa per limitarci a lanciare sassi e slalomare tra resti dimenticati di bottiglie. E quella volta è stata la prima e ultima per Sarah, e un po’ – non lo nascondo – me ne vergogno. Isabelle non era ancora germogliata nemmeno in forma teorica e, quindi, avrete intuito, posso pubblicamente confessare che a 26 mesi ancora non sappia il mare cosa sia.
4 brevi pensieri pasquali
“C’è solo da sperare che Patrick abbia un uovo commestibile” è il primo pensiero che mi viene in mente riempiendomi le braccia coi lavoretti pasquali di Sarah all’uscita della materna ore 16.21, dove campeggiano nell’ordine: un coniglio di pelo su carta, una girandola che lei sostiene con vigore non essere sua (“Sì perché io non avevo disegnato la farfalla qui” addita una delle braccia non girevoli del cartoncino sostenuto da un bastoncino dove, pare, hanno dunque apposto il nome Sarah prendendolo per suo), e un pulcino di plastica con un vasetto dove sono stati adagiati con cura non 3 ma ahimè 2 ovetti di cioccolato.
Porca vacca c’è un uovo ma non è di cioccolata: il secondo pensiero.
Tra mucca e musica c’è di mezzo un SI
E allora è così bello che callo in verità è il gallo, se chiami chiape non cerchi il mio sedere ma la chiave. Dopo due volte che imprecavi caccio con una palla ho capito che gridavi calcio, o avevi avvistato uno scarafaggio sotto al tavolo della cucina (ne abbiamo fatti fuori a dozzine, ora si stanno finalmente estinguendo), e per fortuna il casco ora lo chiami cacco, che prima era caccio pure quello
I tuoi figli ti amerebbero comunque
Forse Isabelle ti salterebbe addosso nello stesso modo, scrutare dalla finestra, non darti il tempo nemmeno di sbottonarti la giacca, arrivare come uno scroscio, un applauso, sempre: farti eroe.
Anche se tu arrivassi col viso chino, il nervoso, i toni duri dell’ufficio.
Ti chiamerebbe, da un capo all’altro della casa: “Papàààà!”, anche se tu non corressi subito, se restassi affogato, intontito, nel mac.
Patrick trascorrerebbe ore intere a scrivere le sue storie, riempirebbe quaderni grandi anche se fossi io e non tu, a comprarli
Ti amerò
È così facile dire adesso che ti amerò per sempre. Darti un bacio e vedere come ti sta bene addosso: s’intona con ogni vestito, ogni maglietta che indossi. Ogni umore. Insegnarti le parole, sapere che hai un piccolo, enorme corpo intero tutto proteso verso le mie grandi verità. Che un broncio è un velo sottile, si scosta con un soffio. Come quello che fai quando provi a spegnere una candela e non ti riesce. È così facile amarti adesso, che quasi tutto mi riesce
Soggezione
Deve averti fatto proprio paura se adesso te ne stai lì senza colpo ferire.
Allineata ai tuoi fratelli come giocatori che accettano in silenzio di restare in panchina. D’altronde siamo stati fortunati, amore mio: devi sapere che il supermercato non è un parco giochi.
Prima le evoluzioni acrobatiche sul carrello: io rido, la rapidità con cui passi dal vano grande al seggiolino, poi ti ergi in piedi affidandoti al tuo equilibrio precario, ti aggiusti di traverso, le gambe a penzoloni (per quel poco che possono spuntare fuori, diciamo a malapena le caviglie e le tue finte Clarks testa di moro)
Di weekend, feste e addio al coniugato
Avendo ricevuto venerdì l’onorata visita della Fatina della Sfiga sto trascorrendo un intero weekend assillata da un amletico interrogativo: meglio ammalarsi durante la settimana o nel fine settimana?
La questione, che non ha evidente ragion d’essere dal momento che la Fatina arriva quando vuole lei e non quando dico io (tendenzialmente mai), ha il nobile intento di rovistare nel mio cervello alla ricerca dell’ottimismo perduto.
Durante la settimana: opzione decisamente favorevole alle madri lavoratrici o genitrici di prole debitamente collocata in strutture ausiliarie
La mamma è brava con tutti
Avrei pensato che ce l’avesse con me, per questa e altre, numerose guerriglie. Non sai credere ci sia ragione valida per un dentifricio che è multigusto anziché fragola, o perché Patrick è arrivato per primo in camera, o l’ha sfiorata, o la Isa ha dato un bacio a lui e gli sale sul letto, gli salta in groppa e addosso, ed è vero, da lei nel letto non ci va mai. Ma non ci lasceresti l’anima.
Invece Sarah sì. Ha cinque anni e un cuore solo
Vorrei per te un amore di carta
Vorrei per te un amore di carta
Da poter ritagliare con mani di sarta.
Lascerei ai bordi, spingerei fuori
Ogni isteria dei miei malumori.
Scriverei dentro, in grandi parole
Questione di sopravvivenza
Mia mamma faceva la casalinga: avevo perfino i fazzoletti stirati. I letti al mattino erano già pronti per la notte, e la straordinarietà era vederla pattinare per i corridoi con le pezze sotto i piedi, spingendo la lucidatrice.
Io le pezze, amore mio, le ho da un’altra parte: certo non mi serve metterle sotto i piedi, ché qui di lucido non c’è più nemmeno il pensiero e l’evento eccezionale è l’aspirapolvere. Però, mi concederai, tua madre passa lunghissime, dico lunghissime ore a giocare con te
Due anni
Domani è il tuo compleanno. Si annusa ovunque, si sente come l’odore d’incenso quando entri in chiesa. S’infila tra le ante degli armadi, sotto le porte. Spiffera dentro e fuori, lo sa anche la pioggia, hanno avvisato il sole. Dice che domani cercherà di venire, poi torna dentro, nel suo capriccio di nubi, la sua nicchia segreta.
Sono io e il mio contrario
M’insegue roca: “Mammaaaaaaa!”, giustifico il naso da soffiare, la lavatrice da spegnere, ogni gesto. E ancora: “Mammaaaaaaaaaaa!”
Mi sta incollata come velcro, una volta l’assecondo, un’altra è un’insidia
Mia madre mi portava il tè coi savoiardi
Mi sono messa su il caffè. Non è il massimo, ma mi andava.
C’è quella pubblicità nuova, in tv, una mamma dice alla figlioletta: “Mi spiace ma devo prendermi un giorno di ferie.”
Poi si prende il vicks (anziché le ferie) e tutto quadra.
Invece a me è venuta la febbre, bella alta, mi percuoteva come un’intera tribù africana. Mi scuoteva il corpo e mi faceva gemere che sembravo in travaglio. Anzi. Anzi i vicini, se sono un po’ ottimisti, potevano pensare a chissà che.
Invece sta volta non si è voltata
Sono cresciuta in questi anni vedendole un desiderio grande che poi se la ingoiava come una paura. Sono abituata a vederle quel visino scendere verso il pavimento, zitta come una vergogna. Dover rincorrere il suo silenzio, provare a dire al posto suo: “Non vuoi più andarci, vero?”
Me la riprendevo senza una parola in più. Di nuovo dentro, chiudevo la porta.
Non fatemi sentire il cuore
DI LÌ IN POI – SAPEVO – NESSUN CUORE AVREBBE PIÙ BATTUTO COSÌ
Stesa su questo lettino. La carta pulita, il rotolo che gira, al fondo, memoria di altri pazienti.
“Resta a torace scoperto” mi ha indicato. Obbedisco.
Accende il monitor dell’ecografia, poi con quella specie di joystick incomincia.
Cento parole
È oltremodo dolce (se non comodo e veloce) quel tuo pappagallare.
Quel tuo ripetere, di ogni frase o parola, solo il finale:
tanto mi pare d’aver sempre ragione,
ché dico vieni, rispondi vieni,
ché dico nanna e rispondi nanna (magari ci aggiungi il no, ma fa lo stesso).
Se dico bene rispondi bene
La buona azione
E mentre ragioni sui suoi flebili 5 anni che d’improvviso sembrano 13, la chiudi in camera tua, e quando la prelevi, ferma e cupa come l’avevi lasciata, sfoderi la punizione promessa: “Non andrai alla festa della tua amica.” Poi ti allontani perché le grida di ribellione che seguono già le avevi messe in conto, e più di così non puoi fare (ché, poverina, in castigo c’è appena stata).
Solo che poi, ripensando, ti accorgi che così penalizzi anche la sua amica. Però non puoi ritrattare. E allora ti viene l’idea geniale
Il sonno dei bambini è più misterioso dei calzini scompagnati in lavatrice
Gli errori si pagano, dicono. Be’: anche le vacanze.
Va messo in conto: anche se la casa delle vacanze è gentilmente offerta dai nonni, anche se non ci sbattiamo a portarvi sulle piste, anche se i costi si limitano a benzina, caselli e qualche pasto fuori, il vero conto lo presenta la piccola (sì, tu), in termini di improvvisa intolleranza alla posizione supina. Che quasi quasi un pensierino ce lo fai: meglio una vacanza in montagna senza più dormire, o dormire senza più partire?
I miei bambini vengono con noi
Sarah si è addormentata quasi subito. Crescere non ci cambia, restiamo quello che eravamo. Ci affanniamo tanto, e poi un’automobile trema sotto il culo e siamo di nuovo piccoli esseri umani in braccio alla corrente.
Mentre oltre il vetro scorre la fiaccolata delle auto, mi prende un pensiero: “I miei bambini vengono con noi!” Banale, assurdo.
Forse memoria emotiva di tutti quei viaggi in cui tornavo da sola. Di quelle volte che lasciare un posto era lasciare qualcuno
L’amica di Olaf
Dicevano alle 8.
Sono andata a dormire col cuore che lampeggiava come le luci di posizione. Ero più eccitata che a Natale: Domani nevica, domani nevica!
Quando mi sono svegliata filtrava un piccolo chiarore tra le imposte, bastava solo a dirmi che era mattino. Zompetto fuori, raggiungo la prima finestra rimasta nuda nella notte: a terra un mosaico di foglie secche, le betulle bianche e nere non dicono nulla, il prato è lo stesso di ieri, ingiallito come un vecchio libro aperto. Aspetta. E invece avevano ragione
Non sono le canzoni a commuovermi
Quando cominciano a uscire, uno a uno. Prendere posto dove sapevano. Uno a uno. Guardare davanti, senza distrazioni, solo un ammiccare svelto e fugace al genitore e poi via, concentrati, attenti. Con la dedizione che sfratta ogni altro pensiero, tutti versati dentro a questo spettacolo, alla sua riuscita: questo è il miracolo.
Inconsueta
Forse non è niente. Forse è solo un virus maledetto, ho visto il tuo piccolo viso contrarsi straziato e spaventato. Mi reclami più che mai, sei mogia, consumata, oppure nervosa, una serie audace di no senza fine. Ma ho smesso di arrabbiarmi.
Com’è denso l’amore di una madre intorno a un figlio malato: solidifica come cera di una candela, il lume attento della veglia. Osserva ogni cosa, ogni reazione
È inutile: non mi somigli
Mancava solo una cosa: che un po’ mi somigliasse. Difficile rintracciare un segno qualunque che quel Cicciobello fosse stato immesso nel mondo a partire dal mio ventre. Non c’era nulla, niente, nessun dettaglio che potesse rendermi sospettabile come genitrice. Peccato.
E lì fu la seconda. Un po’ per la voglia di femmina (dai, sta volta è una bambina!), un po’ perché dovevo rifarmi: trovo che la natura sia ingrata nei confronti della donna, se un figlio, almeno un po’, non le somiglia.
Letting go: la verità è che non sono d’accordo
E poi, mentre pedalo sulla mia stupida cyclette, cominciano a riaffiorare i ricordi. Al di là delle emozioni di cui già ho detto, riemergono tutte le considerazioni che maturai quando Patrick era stato a Malcesine con l’asilo per cinque giorni e cinque notti.
“Piange ma poi gli passa, è un’esperienza che aiuta a crescere.”
Ma è davvero necessario?
“Ma poi si diverte.”
Letting go
Mi dicono che vanno ad Andora. Non si sa quando, cinque giorni con l’asilo. Cinque giorni, cinque notti, cinque anni.
Non è obbligatorio, è una proposta di quelle che chiamano Scuola-Natura. Mi lanciano la notiziola quattro giorni fa, così, sulla soglia della classe, poi viene ripresa nell’assemblea che ho mancato. E adesso mi arriva un foglio: devo decidere entro stasera se “aderisco”, se mando Sarah.
Speravo di non dover scegliere.
Lasciate correre i bambini
Corri, piccolo, corri. È adesso il tuo momento.
Avrai tempo per fermarti, poi. Quando per mille luoghi correrai, cresciuto. Da mille scapperai. E la tua corsa avrà sempre una ragione.
Correrai per andare al lavoro, in ritardo, prendere al volo quel bus, e giù in metrò, divorando i gradini a due a due.
Correrai indietro, a inseguire chiavi dimenticate in una scodella smaltata all’ingresso di casa.
L’ “Effetto Kinder”
Se esco, li prendo, li porto dritti a casa, li mollo a giocare da sé, normalmente va tutto liscio. Salvo eventuali sensi di colpa per non aver mostrato entusiasta plauso per il loro ritorno sotto forma di sorprese, attenzioni, gioco insieme.
Se però, solleticata da tali sensi di colpa, dalla responsabilità genitoriale nel plasmare le loro giovani menti e il ricordo affettivo che avranno di me e della loro infanzia, mi spingo oltre lo stretto necessario… se, insomma, decido di onorare il rientro in una qualche maniera, improvvisamente il gioco si fa duro.
La naturale evoluzione del local pub
C’era una volta l’oratorio: un campo asfaltato per giocare a pallone, qualche panca di pietra vicino alla cancellata d’ingresso, qualche suora e qualche prete. Una piccola zona di giochi per bambini nascosta in un cantuccio. Ma, soprattutto: chiacchiere. D’altronde si chiama “oratorio”.
Da cosa nasce cosa, e dopo i primi anni in cui quel cancello e quel campo asfaltato servono a passaggio obbligato verso la cappella, o verso le sale in cui è allestito il banchetto post Battesimo del figlio del cugino dell’amica di mamma, comincia a emergere il vero volto della location: l’aggregazione
Egoista
Sono una piccola donna egoista, ti calo nel passeggino e ti porto fuori per me. Perché se non scrivo cammino. E allora sto bene.
E non ti posso lasciare a casa perché sei troppo piccola. E poi ho bisogno di te, del tuo universo parallelo a questa commediola adulta del mondo.
Siamo attimi negli occhi di chi guarda
Dio se sapesse…
Di due minuti fa, di prima, di stamattina, di ieri e di oggi.
Ci ha preso così, un istante come una zip, che apre e che chiude, e adesso chiude e non vedi sotto, non vedi le ascelle sudate, la fatica in maniche arrotolate. Solo lo zampillare, il luccichio della cerniera, il fronzolo allegro del pendaglio.
Vorrei dire grazie come lo dici tu
Vorrei dire “grazie” come lo dici tu, come lo dicono i bambini piccoli. In quel modo impreciso nei fonemi, certo nelle intenzioni. Confuso nella logica, chiaro nei sentimenti. Sei nella fase della vita in cui dare e avere, per poco, ancora si mischiano. Tentennano un istante intorno a “io”, si perderanno nel prossimo “mio” ma per adesso – ancora – sono gemelli siamesi
La sagra oltre la finestra
Sono passata tante volte accanto a quell’ospedale, guardo su, tra fronde di alberi che inseguono stagioni: ora abbreviate dai giardinieri, ora snudate dall’inverno, ora rigonfie di estate. Localizzo dov’era, finestra più finestra meno, la nostra. Ne scelgo una, mi dico è quella. E ti faccio nascere ancora. Perché mentre cresci e scorri come la vita che intuivo là sotto, ho bisogno di ritrovare quel grande vetro, il mentre che azzerava tutto.
Tre figli, un solo figlio
A. ha una sola figlia. Una bimba bellissima dagli occhi ridenti che, sfortunatamente, non ho mai visto dal vivo perché abitiamo lontane.
Ci siamo conosciute grazie al mio blog, ci veniamo a trovare affacciandoci a facebook.
“È una scelta precisa – mi scrive – quella di avere un solo figlio: voglio dedicare alla mia piccola tutto quello che posso, rispettare la sua unicità senza compromessi, seguire la sua crescita senza dividermi con altri bisogni, fasi diverse di vita e di evoluzione.”
Ho bisogno di volerti bene
NON È VERO CHE SI AMA SUBITO. DA SUBITO, SEMMAI, SI DESIDERA AMARE. Non è stato così facile. Ci volevano anche sei, sette ore per calmarla o addormentarla. I sonni erano brevi, dopo lunghe fatiche. Ai fratelli che chiedevano qualcosa, pazienti, rispondevo “adesso non posso”, e quella frase mi pizzicava come una maglia infeltrita. E non sapevo evitarlo. Mi …
Vivente e non vivente
LA CONOSCENZA È UTILE, LA FANTASIA INDISPENSABILE
E sulla strada verso casa, evento raro, Patrick racconta: “Oggi a scuola abbiamo fatto la differenza tra vivente e non vivente.”
Indago: “Per esempio…le foglie?”
“Dipende. Se è per terra è non vivente, se è ancora sull’albero è vivente.”
“E la macchina?”
“Non vivente.”
“Sì, però mangia, fa benzina…”
“Allora non vivente se non guida nessuno.”
Confesso
Al nobile fine di sollevare tutte voi dai sensi di colpa e di sorridere liberamente della propria miseria, senza alcun proposito troppo impegnativo di rivedere le mie piccolezze, pubblicamente confesso:
-Che ho detto che mettevo in castigo Sarah e non l’ho fatto.
-Che mi ero ripromessa di non mettere in castigo Sarah e ce l’ho messa.
-Che in diverse occasioni ho usato parole poco congeniali alla giovane età dei miei figli.
-Che ho giocato a Lego e non ne avevo nessuna voglia.
-Che ho fatto finta di essere meravigliata e fiera per il disegno di Patrick.
-Che ho biascicato: “Ciao Isa, già sveglia?” mentre il sottotitolo recita: “Ma cazzo!”
-Che ognuno dei miei figli ha subito a suo tempo qualche giro in auto al solo scopo di addormentarlo…
Au clair de la lune
A volte, per comunicare coi bimbi, ci accovacciamo alla loro altezza. Altre, come questa, bisogna soffiare, alzarsi, levarsi, per essere alti come loro.
Chiamami ancora
Il primo passo è un gesto chiaro. Prima non c’era, barcolli avvinghiata alla mano di tua madre. Un dito stretto come una morsa straripante: di bene, di bisogno, di importanza. Poi succede: come accendere la luce, un clic netto. Un piede avanza, lascia indietro l’altro, senza attaccarti. Magari cadi subito dopo, ma l’hai fatto. Il primo passo è un atto inconfondibile.
Le parole, invece, nascono piano. Si formano come ombre nel vento, chiaroscuri balbettati, sillabe che dindinnano.
Un giorno credi di aver sentito una parola distinta, il giorno dopo la cerchi e non la trovi. Ma hanno una magia che il passo non possiede: sono una novità ogni volta. Le prime le annoti su un foglio. Poi ne arriva un’altra, un’altra ancora. E ognuna porta con sé un piccolo stupore…
Il tempo vola? Le mattine: no
Trovo inverosimilmente bizzarro, per non dire oltraggioso, che quel tempo che sappiamo volar letteralmente via guardando crescere i nostri bambini, sia lo stesso, arguto signore, che si permette di restare incollato come resina tra i capelli in queste mattine con la petite.
Che perdere il sonnellino delle 10 sarebbe stata cosa cattiva e ingiusta (per parafrasare parole sante), già lo avevo immaginato. Che questo momento sarebbe poi giunto, con grande probabilità, allo scadere delle vacanze, l’avevo…
A Stairway to Heaven
Ci sono sere che lasciano indietro il giorno senza fatiche, senza rimpianti, senza fretta.
Non conta che hai dovuto passare già metà del weekend facendo le pulizie di casa. Che ti sei svegliata alle sette neanche fosse lunedì, perché i bambini non conoscono la differenza tra i giorni della settimana.
Ci sono sere che infili i pupi nella macchina, uno per seggiolino, ti volti, li guardi e pensi: “Stan proprio bene, così: 3. Riempiono la fila, la macchina è più bella.”
Ti gasi un po’ per questo orgoglio che, pure, ha ragion d’essere, poi in un guizzo di ritrovata energia, domandi: “Sarah, sei felice?”…
“Quando mi fai vedere le persone senza mani, mamma?”
GLI HO CONSEGNATO UN LEMBO DI REALTÀ DIVERSA, COSÌ, DAL MONDO DEI GRANDI, E LORO TIRANO LA VESTE, VOGLIONO VEDERE IL RESTO.
Ha scelto il libro dei dinosauri a scuola, uno dei più noiosi. Me lo sono caricata tra ombrello (aperto), bambini e pancione, poi sul divano giallo in camera mi sono messa a guardarlo con loro, un falso compiacimento negli occhi stanchi…
La lista e io: miserabili tentativi di scorciatoia
Al vantaggio di ritrovare un po’ di tempo libero, con l’esodo dei figli, il varco chiede, al solito, un ingente pedaggio, che si formula fin da subito in una lista indigesta di materiale da acquistare.
Molti erano già preparati da giugno, tempo in cui l’allegro foglio di istruzioni venne consegnato: qualche genitore audace e apprensivo ha provveduto già allora.
Noi, per non venir meno alla tradizione di genitori “tranquilli”, non solo non abbiamo ancora comperato nulla, ma abbiamo logicamente perso la lista (peggio: non ricordavamo nemmeno di averla)…
Il mondo a modo tuo
Davanti alla bocciofila ti ho messa giù, hai camminato un po’, trotterellavi con la camiciola lilla che svolazzando ti somigliava. Ti sei diretta verso un grosso albero, il grissino saldo nella mano, e l’hai abbracciato.
Ti guardo restando indietro quanto basta a non distrarti: lo sai che abbracciare un albero è abbracciare la vita? Sembravi una poesia in carne e ossa…
Piccolo, dolce chissenefrega
ESSERE MADRE È TERRIBILMENTE FACILE.
Conto i nodi del legno. Come facevo da bambina. Traccio figure che vedo poco, sfocate: ho tolto gli occhiali.
Volevo fare il flan, mentre dormivi. Avevo altri programmi: tu avresti fatto il sonnellino, Mathias faceva un giro in paese scansando a fatica il malcontento per le nubi, a colpi di croissant. E io mi sarei messa a cucinare…
Tempi furbi
Si definiscono “tempi furbi” quei tempi che, per loro natura, hanno la capacità di evaporare in maniera del tutto arbitraria.
Ne sono esempio:
Mattino: cinque minuti dal panettiere + ritorno senza incontrare anima viva + rientro e due parole col marito = 45 minuti. Cioè 15 più 30 di tempi furbi (o di logorrea?)…
L’amore non sa tutto
…So che serve anche il silenzio. Che per un po’ si scivoli nell’abitudine, la noia breve che apre ad altre scoperte. So perfino che inciampare nei lamenti, piccole battaglie, litigi tra fratelli, fa parte del gioco. Anche in vacanza.
Ma l’amore non sa tutto…
Che shock il ripasso
…Sulla pagina 26 un esercizio invita a scrivere una parola che cominci con ogni lettera dell’alfabeto. Dando il LA con le prime tre: A come aquilone, B come balena, C come castagna. Così recita l’etichetta.
Dietro alla famigerata etichetta, però, s’intuisce in controluce o si legge chiaramente – per i più arditi che scollino il rattoppo – quanto segue:
A come accetta che ti voglio dare in testa…
Il primo giorno (lei)
HAI PARTORITO, SEI TORNATA A CASA: TUO FIGLIO, SUO PADRE. I PRIMI GIORNI.
POI LUI TORNA AL LAVORO: PER LA PRIMA VOLTA SIETE GENITORI, MA IL GIORNO VI SEPARA. LUI LÀ, TU A CASA COL PICCOLO. UN MOMENTO CHE SEGNA UN GRANDE INIZIO.
Guardi l’orologio del forno: le diciotto.
Ti sei alzata con una scusa, un bicchier d’acqua, un pugno di noci. Ti sei sporta piano dalla finestra, come un segreto…
Cari figli: il prontuario per le vacanze
Cari figli, come promesso anche per noi il momento agognato è arrivato.
Siamo in montagna. Benvenuti. Piove.
Prima che il bel tempo ci porti alla deriva e prima di inciampare in inconsuete armonie familiari, desidero richiamare la vostra attenzione su alcune piccole regole – o dettagli di convivenza se preferite – che agevoleranno questa prima settimana coi nonni.
Postulato 1: Non chiedere a mamma quello che puoi chiedere a papà.
Postulato 2: Non chiedere a papà quello che puoi chiedere ai nonni…
Il confine
…Ho sempre la coda di paglia, mia madre che mi dice “egoista”, e forse lo sono anche. E poi quella parola ti si tatua tra le mani, nelle cose che fai e in quelle che non fai. Le volte che dici di sì ai figli e credi di dimostrare qualcosa a te stessa. Quelle che dici di no, e allora lei c’aveva ragione…
Il navigatore
…In caso di giri in auto, ti orienta tra le strade meglio di un navigatore, ricordando nome e cognome, esercizi commerciali ed, eventualmente, attività familiari che hanno caratterizzato la zona (tipo: Lì è dove c’era la festa di tizio, là è dove siamo andati a prendere il frigo, e così via).
D’altronde, a semplici proposte come “andiamo al ristorante”, Patrick domanda: “Dove?”
“Al Roadhouse.”
“Sì, ma in quale via?”…
L’amore non c’entra
…Che poi: bravi sono anche bravi (a volte). È che io, in queste giornate senza pausa, li ho sempre davanti. Davanti quando giochiamo (o giocano), davanti quando mangiamo (o mangiano), davanti quando parliamo, leggiamo. Quando, semplicemente, “esistiamo”. Davanti anche se sono di schiena. Arrivo a sera che c’ho la SEEF (Sindrome da Eccessiva Esposizione ai Figli). Ormai anziché l’ice cream gli do l’I scream. Rincasa Mathias e glieli consegno. Ho bisogno di non vederli. Per un po’.
“L’amore non c’entra – rassicuro A. – è che è proprio fisiologico.”…
Il primo giorno (lui)
HAI PARTORITO, SEI TORNATA A CASA: TUO FIGLIO, SUO PADRE. I PRIMI GIORNI.
POI LUI TORNA AL LAVORO: PER LA PRIMA VOLTA SIETE GENITORI, MA IL GIORNO VI SEPARA. LUI LÀ, TU A CASA COL PICCOLO. UN MOMENTO CHE SEGNA UN GRANDE INIZIO.
Hai spento il pc.
Ciao. Saluti tutti, sventoli il guanto come chi parte per un luogo lontano.
Sei passato in bagno, sta volta…
Prime parole: la cruda realtà
Mi chiedo chi è che ha inventato la fiaba.
“C’era una volta una bimba, gli occhi colore del cielo, le labbra a forma di cuore, succose come le fragole a giugno, due braccia operose con le fossette ai gomiti, due piccoli piedi che zampettano allagando tutto di immacolata allegria. E la sua mamma restava a guardarla a mollo dell’incanto più sublime che mai si potesse immaginare. Si narra che, tanta era la sua bellezza, la piccola la osservava anelando a quel suo sguardo innamorato, e volendo somigliarle il più possibile cominciò a produrre dolci sillabe: “MA-MA”…
Una piccola donna (o quasi)
La Saretta non c’è più. C’è una ragazzina, al suo posto. I capelli lunghi fino alla vita. I modi da mamma, imbocca Isabelle, se ne occupa. Si pianta nel piccolo dei suoi cinque anni in certi capricci improvvisi, imprendibili. Poi scivola fuori. In un attimo si mangia anni e ti sembra una piccola donna…
Il caldo al tempo dei bambini 2
…Mi sorge il dubbio che, dopo tutto, di estati davvero torride non ce ne siano state tante negli ultimi anni.
Ché qualche giorno di anticiclone africano lo reggo anche, basta che poi si rinfreschi almeno la sera.
Ma quando alle 23 leggi 30 gradi fuori e 29 dentro capisci che non puoi farcela. E, più di tutto, ti avvedi che anche una questione semplice come quella della calura, assume interessanti, nuove prospettive quando condivisa con la progenie…
Il caldo al tempo dei bambini 1
E dire che mi credevo abituata.
Nella lontana vita da single, o, più precisamente, in quella pre-figli e pre-nozze, vivevo in un monolocale. Da sola, prima. Tolta qualche visita del cavaliere di turno. Poi, con la dolce compagnia di un francese che veniva a trovarmi qualche weekend, fino a stabilircisi dopo mesi di voli easyjet. E…
Ci abbiamo provato
…Sarah le vuole già bene: “Dammela, la metto fuori così prende fresco.”
La natura ci porta a un istintivo accudimento, fin da piccoli.
Il finestrino abbassato del tutto, la macchina corre, la coccinella svolazza con prepotenza, la busta impugnata con tutta la forza di cui Sarah è capace…
Venendo via
…E finalmente siamo lì, in quel punto troppo lontano: abbiamo finito.
Ci stringiamo la mano, ci salutiamo. Un sorriso per uno.
Saliamo in macchina. L’auto svolta, il gomito della strada: accostiamo la cappella dove pregavo senza saperlo. Dove passavo il tempo quando su, al secondo piano, c’era troppo via vai. Superiamo la fermata del nostro autobus. L’entrata centrale, le porte a vetri, la guardiola.
La gola stringe.
Fa uno strano effetto: la gioia e la liberazione s’inerpicano sulla nostalgia…
L’ ottima ragione
…Una maestra? Un’animatrice dell’oratorio?
Ad ogni passo un altro saluto.
Inseguo rapida ogni ipotesi. Lei con quei suoi occhiali grandi e scuri, gli occhi chissà dove.
Forse mi scavalcano, guardano oltre. Mi volto, la strada è deserta. Mi spiace deluderla, mi appresto all’ennesima figura di m. Riassumo le rughe della perplessità nella prima frase di senso che trovo: “Ci conosciamo?”…
Tutto quello che mi serve
Ho inforcato la via per Cesano. La fretta falciava la strada. Nuvole come chiasso nel silenzio, la pioggia trattenuta come un respiro.
Camminavo con l’urgenza dietro, il passeggino davanti. Sono felice di spingerlo: mi appoggio, sembra un conforto.
Guardo Isabelle, la sua testa ingenua e chiara, sottile come i suoi capelli. Ignara: tu resta buona, rimani così. Una certezza vincolata al qui e ora…
“Istruzione” non fa rima con “informazione”
La Signorina S. confabula al parco giochi. Qualche genitore, classi diverse da quella di suo figlio.
“Tu non hai letto la lettera di C. al fondo dei quaderni? Pare che se ne vada.”
Il giorno delle pagelle (che ormai si chiamano “schede”) siamo entrati uno a uno, o due a due – nel caso di genitori in coppia, come noi – : “Buonasera”, stretta di mano, le due maestre sorridono. Niente da dire, Patrick è bravo, file di 10 campeggiano ordinate come truppe, in mezzo si nasconde un solo 9 in educazione all’immagine, che non sia un Picasso l’avevamo intuito.
C. nel suo vestito salmone, le zeppe che la slanciano…
“Non parla”
…Avete ragione, madri preoccupate di bimbi che mostrano ritardi apparenti: aspettate con fiducia.
Perché essere preoccupate, allora? Perché cercate conferme sui social? Perché contate i mesi, i giorni, le cose che fa o non fa il vostro bambino?
Anche io aspettavo: non per fiducia. Aspettavo per paura…
Nato nel silenzio
…Perché dovrei condividere la mia stanza con una, due, tre donne mai viste? Avere visite a orari fissi, riposare a orari fissi, essere in mezzo al via vai di sconosciuti, ospiti delle altre, dividere le ore di sonno con figli non miei, che hanno le loro veglie, le loro madri, altri odori, altri tempi, e diritto, anch’essi, a un momento privato?
Fareste mai un viaggio di nozze condividendo la camera con una coppia mai vista? È il vostro miracolo, il vostro amore, la sua nascita. I primi giorni di vita sono la luna di miele della nuova famiglia…
La scuola è finita: andate in pace
…Il vero guaio è che, per la prima volta, stiamo parlando di ben 3 mesi. E che, per quanto ami i miei figli, sono una madre, non sono un cammello: non è che posso fare scorta di bambini, un’abbuffata di tempo insieme, le riserve in vista dell’inverno…
Dammi un bacio
…Quando compro qualcosa pensandoti, quando cucino, leggo, rido con te. Quando ti ascolto. Quando ti aggiusto il lenzuolo con le macchine, le principesse a tua sorella, e poi torno, di nuovo, ancora, che già dormite: ogni sera, a sfiorarvi lontani con un bacio. Con quello e altri baci, con ogni tocco, tutte le dita, le parole, le braccia: mi prendo cura di voi. Mi prendo cura di me.
Nessuno lo sa, ma ho bisogno di voi, quanto voi ne avete di me. Semino amore per nutrirvi, crescervi, rendervi il meglio che posso. Ma semino amore anche perché mi amiate…
15 mesi e ho già perso tutto il mio rigore
…Sale in piedi sul tavolo. Sale in piedi sul cesso aggrappandosi all’asse. Dorme nel lettone ogni volta che non dorme nel lettino (fate voi le vostre supposizioni). Ciuccia il seno quando è stanca (il ciuccio sa di gomma). Scappa dal seno quando invece potrebbe poppare…
Che cos’è la violenza?
Se ti domandassi cosa pensi della violenza sui bambini. Se chiedessi a te che leggi, adesso, sul tuo smartphone mentre tuo figlio è a scuola, mentre è al tuo fianco e gioca. Mentre mangia, sorride, corre. Risponderesti che la violenza è inaccettabile. Un retaggio, quasi, di altre epoche: epoche in cui si bacchettava a scuola, in cui i padri erano burberi, le…
Amore mammifero
Mischiatevi, mamme, col vostro cucciolo d’uomo. Mescolate i fiati, attaccatelo al seno, donategli quella linfa bianca che il vostro corpo perfetto produce come nettare degli dei. Perché è questo che siete: dee.
Tenetelo su di voi come una seconda pelle, il soffio lieve che cede al sonno, un gemito sfuggito ai primi sogni di chissà cosa. Tenete il vostro piccolo così vicino da non sapere, più, dove finite voi e incomincia lui. Non abbiate fretta di separarvi, come non ne avevate…
Tu sai illuminare la notte?
…“La luna non sa fare niente.”
“La luna… quella del cielo? Sa illuminare la notte: tu sai illuminare la notte?”…
La matematica della maternità
PER OGNI RIMORSO, OGNI RITARDO, OGNI RICORDO. OGNI PAROLA CHE COMINCIA IN RI: RI COME LO RIFARESTI. COME RINGRAZIO LA VITA.
Per quelle volte che hai pensato sono una madre di merda. Nonostante le sfumature di colore.
Per le volte che ti sei detta Non ce la faccio più.
Per quelle, ancora peggiori, che l’hai detto davanti ai figli, ai loro occhi puntati su come due ali sempre pronte per il decollo…
Storia di pianti e di giacche a vento
Mi ricordo io, una volta che ho pianto a scuola. Solo che ero più grande.
Avevo preso troppo sole, vanità ingenua, nessuno mi aveva obbligata alle creme solari: a tremila metri il sole di Pasqua percuote come fosse arrabbiato. Ma a me piaceva: mi piaceva quella luce irresistibile, il bianco assoluto della neve e dei ghiacci. Mi piaceva la pelle che iniziava a tirare: “Fai così” dico a mio fratello spingendo il naso col dito…
Tu abbraccerai
…Tu abbraccerai la tua prima amichetta, a scuola, bisbiglii all’orecchio, nascoste ai grandi. La stringerai crescendo, dicendole piano Io ci sono. Abbraccerai l’amico che parte, e quello che ritorna. Il ragazzino per il quale hai cambiato vestito e, forse, anche il modo di parlare. Schermaglie di ciglia tra le cartelle, diari pieni di parole e cuori trafitti.
Abbraccerai col sorriso, sospirando, con le lacrime agli occhi…
Il tempo dei bambini
Sono fortunati, i bambini. Che non conoscono il tempo.
Sarah ha dormito con me e Isabelle, un sonnellino da convalescenti virali. Le ho detto non russare. Risponde: “L’anno scorso non ho russato”…
6 cose che non sopporto
…Non sopporto i bambini che, correndo in preda alla generosità della loro energia infantile, non si preoccupano di tentare o almeno fingere di scansare me e, soprattutto, il passeggino con tanto di piccola indifesa. Come ieri, questa creatura col suo cappellino rosa: la vedo che divora la stradicciola, e non è colpa sua se questa fa tre spanne (delle sue) in larghezza, e se incrociarsi è un esercizio di galateo a chi cede il passo per primo…
Esco a fare due passi (un titolo preso al Volo)
Non ti dirò che ero già uscita con l’idea di andare lontano. Molto lontano. Che mi sono portata i cracker, come sempre, più la bottiglietta dell’acqua anche se non sai bere a canna, sperando così che tu tenessi duro, legata nel passeggino come un salame, il pile esagerato, ma ti ho tenuta così perché temevo che, se mi fossi fermata …
Ogni bimbo che nasce
…Ricordo i miei ultimi giorni di gravidanza con tenerezza, quell’attesa così dolce di tanti mesi che d’improvviso s’impenna, si fa quasi aspra, sa d’impazienza, di gioia e di dolore, è piacevole perché ama, spiacevole perché impotente. È un riassunto feroce del vivere a questo mondo. Così, senza mezzi termini: una vertigine…
Non mentite ai bambini
…Alessandro è avvinghiato alla madre, onde di capelli neri, mossi e lucenti. Due finestre aperte sul cielo, al posto degli occhi. Si fa presto, ad assieparsi intorno a una nuova vita, dimenticare il resto, dimenticare gli altri. Allora si scosta, risponde con nome e cognome. Sorrido grata e il discorso torna sulla piccola.
“Adesso va al nido” commenta la mamma, “e io vado a lavorare.”…
A padri come questo
Lui le è accanto. La esorta: “Dai, ce l’hai quasi fatta!”
Cerca parole, sbandiera frasi imparate nei mesi. Altre gli salgono alla gola da sé, figlie di un cuore proteso che dilaga nella stanza. Figlie del momento.
Ha paura, la donna. Ne hanno tutte.
Vorrebbe prenderle quel ventre gonfio, versarlo fuori come un secchio, levarle il dolore, la pena, la paura. Vorrebbe farlo lui…
La leggenda dell’oggetto transizionale
“Ma che carino! Davvero, grazie!”
Sospiri, sorridi, un occhio spiana il pupazzetto che hai appena scartato per tuo figlio, poi si posa su quelli del donatore e infine cerca, supplicante, la gioia del bebè.
Ebbene sì: ti hanno regalato il centoundicesimo peluche per il tuo bambino.
Forse sono informatissimi sulla (possibile)…
Amo. Ode alle cose belle di te
…Amo la sfida del tuo viso puntato verso di noi quando sai che non puoi. Amo le follie che sono proprie della tua età, srotolare la carta igienica, impastare i mobili coi cracker, afferrare lo spazzolone del wc.
Amo che, prima di farmi arrabbiare, spesso, mi costringi a ridere…
Stagioni
Ci sono giorni come questo – non dirlo a nessuno – che ti metto a letto e invece di sentirmi sollevata, di librarmi verso la mia ora di autonomia adulta, mi rigiro nei minuti, una bestia d’insonnia nel giorno. Non trovo posizione. La tua assenza mi fascia le mani, il tempo senza di te sembra un’attesa.
Fuori si affaccia la primavera…
Ti abbiamo messa a dormire in cucina
L’idea è stata di tuo padre. Lui, paziente. Premuroso. Dolce. In questi giorni ronzava per casa come una mosca già mezza spappolata da un colpo di giornale. In mezzo al volo confuso dei suoi gesti stanchi, frasi che è meglio non ripetere: non che io sia innocente, dico anche io parole poco garbate che, se non ti arrivano nel significato, ti raggiungono nell’intonazione. Ma io sono notoriamente la “stronza”, quella nervosa, uterina: da me ormai te lo aspetti. Questo, invece, è davvero un colpo basso. Se da grande ti sentirai insicura…
L’amore a pennarello
Adesso immagino che dovrei giocare con loro.
Ho messo a letto la piccola con grandi fatiche, programmato una simpatica gita dalla pediatra che dichiarerà l’ennesima otite a tre sole settimane dalla precedente. Fatto un giro di chiamate per trovare chi mi tenesse Patrick e Sarah ed evitare di caricarmeli anche loro verso la terra dei batteri. Tracannato un caffè disturbato dalla…
Di cosa sono fatte le carezze
…“Tu mi accarezzi… come accarezzassi un cane.”
Lei interroga le dita, cerca dov’è la falla che svela il segreto. Quale la differenza, tra queste e mille altre carezze. Di che materia sono fatte le carezze, di quale pelle le mani che amano…
Dieci febbraio
Ho dormito poco. Forse affatto. C’è una cullina, le pareti trasparenti, qui accanto. Vuota. Come un ventre che ha partorito. Ti ho presa così come ti hanno preparato, avvolta nella coperta metà rosa e metà azzurra, tracce di vernice caseosa, ancora. Ancora sai di me, sai di noi, di queste ore faticose, della mezzanotte in cui sei sbucata fuori.
Accanto, un letto più in là, metteranno un’altra donna, ma io ti…
Quel che resta del parto
È vero: sono caduta da ragazza. Sugli sci (anzi al loro fianco, mentre quelli se la ridevano come fosse colpa mia), inforcata malamente da una compagna di oratorio che adesso non nomino per non provocarle sensi di colpa tardivi. E ci ho lasciato le chiappe.
Tuttora, a distanza di un numero di anni che mi guardo bene dal conteggiare e ancor meglio dal riportarvi, il mio osso sacro presenta ignote protuberanze, nemmeno simmetriche…
Il primo passo
…È il momento più bello: il breve spazio in cui osi senza avere ancora un ottimo equilibrio. Ti sbilanci, cadi con un tonfo sordo sul sedere imbottito. Te ne freghi, ti alzi, riparti. Oscilli trascinando una bambola troppo pesante, a volte recuperi, altre no. E in poche settimane già ti mangi metri di stanze, ti affacci dalle porte, sbuchi come una novità ridente. Hai già acquisito sicurezza, te la sei presa da sola, snobbi la mano che ti offro, la sfuggi quasi fosse un’offesa.
C’è tanto di voi, figli miei. C’è tanto di tutti, nel modo in cui camminate…
Dapprima fu il lamento
Dapprima fu il lamento: un suono graffiante, monocorde, stridente come il gesso alla lavagna.
Noi diciamo: “Fa contatto!” con un ghigno che annaspa alla ricerca dell’ironia, perché la gentile vibrazione si produce puntualissima e prevedibile non appena deponi la piccola a terra.
Poi fu la dieta: di una scodella di pappa preparata con zelo e tantissimo amore la principessa…
Non pronunciare il nome di “mamma” invano…
Mentre attendo con trepidazione che la piccola Isabelle pronunci per la prima volta il fatidico mamma, che sia un bisbiglio barcollante, una balbuzie in cui riconoscere a stento l’appello, o una voce argentina che chiama a squarciagola… singolarmente aspetto, anzi supplico, che gli altri due smettano di farlo…
Un mondo di bene
Orde di genitori ammassati all’ingresso. Poi dentro, a spingere per accaparrarsi un posto in prima fila. Ci siamo anche noi, la macchina fotografica, la videocamera, l’eccitazione che miagola impaziente.
Loro sono già pronti, seduti sul palco, le maglie rosse, i jeans e il berretto rosso di Natale in testa.
Le luci sono già basse, i genitori sono meno disciplinati dei figli, chiacchierano, si scompongono per lo scatto perfetto, i flash spezzano la penombra.
E in un sussurro della maestra che dirige il coro, il concerto comincia…
Il primo Natale
… E adesso è qui: quel Natale con l’albero in un altro angolo del salotto perché il mio box non gli lascia spazio. Quel Natale che tutti corrono e non so perché. Quel Natale che si aspetta – dicono – il vecchio con la barba bianca e il cappello rosso, la slitta coi regali, la neve che non viene mai. E io osservo l’albero con lo stesso stupore con cui guardo il tuo sorriso. Le luci come le ombre. Le ghirlande come le tue collane, come un nastro qualsiasi. E quando quella festa verrà, sarà un giorno qualunque, perché niente è qualunque. Perché non so ancora la differenza tra dare e prendere, donare e ricevere…
Una mattina
Grazie, che tamburelli sul cubo accanto alla tv.
Ti ho acceso un canale a caso, ho creduto di farti piacere. Prima è uscito il messaggio di errore, perché la tessera Premium ci mette un secolo a caricarsi, poi ho cliccato a caso, devi esserti trovata faccia a faccia con una televendita. Coltelli o materassi. Chissà.
Tu sbatti le mani come faceva tuo fratello alla stessa età. Sullo stesso cubotto di legno etnico. Dicono che ogni bambino è diverso. Io dico che sono tutti uguali…
Trovami una tata punto com
…Vent’anni più tardi sono madre di tre bambini, e, questa volta, sono io a cercare una tata.
Mi accorgo che, vista dall’altra parte, la situazione appare drasticamente differente: chi non ha mai fatto la baby-sitter almeno una volta nella vita? È il classico lavoretto-non-lavoro per tirar su due soldi in nero. La sera ne prendi pure di più, e se c’hai culo i bambini dormono e tu ti svacchi davanti alla tv.
Ma se fare la mamma è il lavoro più difficile al mondo, com’è che fare la baby-sitter è la cosa più facile e scontata? Sempre bambini sono…
Bianco e nero
Ho guardato quella vecchia su una lastra di vetro e alluminio: sembro io fra dieci anni.
I capelli senza forma, la ruga a sinistra della bocca che è un solco più vivace delle labbra stesse, sottili, schiuse in una smorfia.
Gli occhiali come oblò per due pesci d’occhi spolpati. Le palpebre casacche stanche, vuote.
Forse solo il naso ha retto agli attacchi delle notti insonni. Il suo piercing che mente spavalderia ed estro stava lì in mezzo, cattedrale nel deserto, sogghignava: “Sei tu”.
Sono io quel ritratto bellico. L’ho osservato e ti ho odiata…
Farsi notare
Stupida madre intenta a scrivere. Scalcia i bambini con fare brusco, lo stesso suono che si produce quando si straccia la carta. Si butta via una storia.
Il sabato ha i rumori dei piccoli per la casa, vento di corse inarrestabili, cavallette ingoiate nelle bocche che schiamazzano. Patrick butta fuori tutta l’irruenza trattenuta a stento sui banchi di scuola. Sarah risale…
La guerra inutile di carta e sapone
…D’altro canto, perché vaccinarsi, disinfettare il bucato, inacidire i pavimenti di antibatterici, se poi si sparpagliano su giochi e cibo quelle ditine adorabili che hanno toccato ogni sorta di muco, terra, ogni parte del corpo e sua possibile produzione biologica?
Eppure, mi si riferisce, a scuola il sapone è non solo merce rara, ma va cercato, tipo i tartufi…
Cosa (non) fare in un centro commerciale
Certo, mi rendo conto che, il sabato pomeriggio, molte altre famiglie si sollazzino con attività più consone allo stato anagrafico (dei genitori e dei figli), tipo li portino alle giostre, o a fare la spesa, o, ancora, a lavare la macchina. Certe di queste imprese con l’accattivante prospettiva “vedrai com’è bello”, oppure “ti compro una cosa che scegli”. O un …
Cuori in autunno
Ho pensato che oggi poteva andare meglio. Ho tenuto Sarah a casa tutta la settimana, aveva la scarlattina. È un male brutto, è streptococco, quel batterio che si è preso gola e cuore, una valvola, anni fa, nel mio corpo di bambina.
Un po’ di febbre, brividi, lamenti: i bambini lo fanno vedere subito. Dapprima credi sia un capriccio, poi osservi meglio, ti viene il dubbio…
Contraddizioni d’amore
C’è qualcosa di terribilmente angusto e difficile, nell’insegnare a un bebè a dormire da solo.
Forse quelli allattati artificialmente hanno strade diverse, diversi pensieri le madri: una bottiglia di latte, di camomilla, magari, una stretta in braccio, e poi giù, in culla.
Forse è l’età. I nonni sono notoriamente più inclini a viziare i piccoli che i genitori stessi: fa parte dell’invecchiamento. Eppure io – madre – dal primo figlio a questa, invecchiando, mentre imparo dimentico…
Il tempo degli elogi
…Qual è il tempo di dire a tuo figlio: “Non è bello, prova a rifarlo”?
L’abbiamo corretto, quando sbagliava. Sgridato, educato, ripreso, punito, quando disobbediva a regole che riteniamo importanti. Però i suoi piccoli sforzi, i suoi lavoretti creativi, i tentativi di imitarci e fare da solo, lo slancio di apprendere, quelli li abbiamo elogiati, sempre, senza ritegno né attenuanti. Abbiamo visto un bicchiere mezzo pieno dove c’era una sola, timida goccia sul fondo. Uno scultore esperto in una palla sbilenca di plastilina…
Solo per te
…Per molte settimane, anche dopo che sei nata, sei stata il mio Miracolo: ci sei davvero, l’abbiamo fatto davvero! pensavo incessantemente. Tu sei la figlia che non credevo avrei mai avuto. Tu sei la figlia per cui non ho progettato un’altra stanza da letto, un divano più grande, una raccolta ordinata di vestiti e di nomi da darti. Sei il…
Le tue mille, buone ragioni
Sei rimasta a metà, tra il palo dove ti ho costretta, e la sacca vuota del mio silenzio. “Adesso stai lì e ti calmi!” ti ho ordinato, la voce ferma, le mani che stringevano il passeggino con tua sorella, e il cuore che scalcia. Hai gridato mamma! con tutta la forza di cui eri capace, il tono isterico che mi trattiene dal tornare indietro.
Potrei pensare che ormai sei questo: un grido di dolore o rabbia, la rabbia di cosa, un capriccio che si impunta su sciocchezze da poco, così…
Storia di una culla
L’abbiamo messa in salotto. Fa sorridere, sembra in attesa di qualche bambola. Di una storia raccontata alla maniera di Sarah, la testa che dondola, la voce fatta più piccola. L’abbiamo spolpata come un frutto, un pesce pescato in mari lontani, portato alla deriva, che ci ha condotti con sé, e ora ritorna. Si ferma sulla risacca. È rimasta solo la struttura della cullina che ha visto i neonati di questa madre, solo la lisca, una carcassa piena di piccole storie…
Piccoli paradossi
Certo, ha dell’assurdo, ma il mio impegno di oggi sarà – piccola permettendo – come insegnarle ad accettare il ciuccio.
La vita è un paradosso: stiamo lottando perché Sarah smetta il succhiotto, e perché Isabelle lo prenda.
Quattro anni (quasi) vs sette mesi (e rotti), vs innumerevoli specie di questo gadget salva-genitori, che carosellano su mensole, mobili, letti e bauli, supplicanti.
Mi rendo conto di essere probabilmente impopolare, nei padiglioni auricolari già avverto il formicolare insistente di mille piccole voci: “Meglio, no? Così non farai fatica a toglierlo!”…
Il primo giorno di scuola
La cartella è grande, i suoi spigoli gli sporgono dalle spalle come timide ali chiuse. Com’era grande l’ovetto, uscendo dalla clinica, lui che ci si perde dentro. Il lettino con le sbarre, le prime volte. Le mie braccia, perfino quelle, intorno a un corpo che ancora non conosce il mondo. Perché è così, che tutto il nuovo comincia: grande. Patrick …
Vicine
Si è rifatta le sopracciglia. Le ha tatuate, a dire il vero. Spiccano sulla fronte ambrata come rondini nere. Non che mi riguardi, non siamo niente, Barbara e io. Due anime che hanno l’affaccio sullo stesso cortile. Che se una dice qualcosa all’altra, quella le grida addosso, le grandina parole dure neanche ci fosse davvero la confidenza per farlo. La confidenza non è necessaria, per mandarsi a quel paese.
Altre volte siamo più concilianti, ci si saluta con gentilezza, con il garbo di un tovagliolo ben ripiegato sul tavolo. Così, senza sporcarsi…
L’acchiappa mostri
Un suono sordo di passi. Leggeri, timidi. È Sarah. Spunta dall’angolo del corridoio, nel mezzo della sua notte, la sera dei grandi distesa sul sofà, la tv accesa nella luce fioca: che fai?
“Mi scappa la pipì.”
Va in bagno, si lava, ritorna in salotto. China i suoi riccioli spenti dalla penombra e il corridoio se la inghiotte.
Chiama di nuovo…
Come ti svezzo la bambina 2
Ormai ho cominciato. Per forza. Perché anche i più accaniti difensori del latte materno, prima o poi, cedono al divertimento di vedersi imbrattare il proprio cucciolo con un biscottino ciancicato come può dalle sue piccole gengive forti, e quelle mani paffute che ridisegnano il pianale del seggiolone con ignoti Kandinskij. E cedono pure – figli di buonsenso e informazione – …
Il compleanno
…Il corpo lo sapeva, che stavi arrivando. Prima di me, della ragione, dei conteggi.
La città è rimasta spalancata e scura come una bocca aperta e senza voce. Siamo scesi giù in strada, in fretta: “Inizio a prendere la macchina. Andiamo, andiamo!” mi esorta tuo padre.
Su, accanto al divano dove ho avvertito, alcune ore fa, quell’onda di dolore sordo che ha avviato il concerto della tua venuta, sono rimaste le ciabatte, le riviste sul tavolino rotondo. Il foglio bianco sulla scrivania recita numeri che parlano di travaglio…
Come ti svezzo la bambina
…No, non è strabica. Torace ok. Cuore ok. Orecchie ok. La fontanella boh, non gliel’ho vista toccare.
Intanto, infilandosi nel mio silenzio sulla questione sonno, come una biscia nella crepa su un muro, parte per la guerra dello svezzamento: “A cinque mesi e mezzo si comincia.”
“Sì, Si-ora (Signora). Si fa a cinque mesi e mezzo.”
Ribatto con la schiettezza che mi rende difficile la permanenza in questo mondo (e in questo studio): “Io la svezzo a sei.”
“Si-ora… Si fa a cinque mesi e mezzo, perché l’età giusta è questa.”
“Ma l’OMS…”…
L’amore bambino
…Mi chiederete qualcosa di quando nacque Isabelle, oppure sarò io, aggrappata col ricordo alla carrozzina di un passante, o alle scaramucce di gelosia tra due fratelli sconosciuti, che prenderò a raccontare. E perderò un mucchio prezioso di particolari. Dirò che non eravate gelosi, che eravate amorevoli e dolci. Dirò poche cose salvate al tempo come un sapore.
Ma la cura che avete di lei è un mosaico minuzioso fatto di piccole meraviglie…
Non tutte le ciambelle riescono col buco
Lo chiamano “zero termico”: è l’altitudine sopra la quale la temperatura è inferiore allo zero. In altre parole: il luogo indefinitamente alto e sconfinato in cui fluttuo da giorni. A lanciarmi alle alte quote un week end non proprio riuscitissimo e la solita, solida complicità di una piccola insonne.
Perché non è mica detto che il fine settimana sia la pausa dalle fatiche, una vacanza in formato tascabile, una gioia piccola, …
L’uscita esclusiva
…Una ragazza cinese dietro al banco. Tavoli in formica e sedie con le gambe in metallo. Quattro signori giocano a carte. Più in là due sbadigliano afa tra calici di vino. Sono tutti uomini, da fuori arriva un respiro caldo di fumo e tabacco. Un odore di domenica e partite di calcio. Il grande schermo alle nostre spalle. Noi due seduti, come vecchi amici. Abbiamo parlato di un sacco di cose, per strada, commentato i fiori, imparato cos’è una rima: “Come bambino e tombino, finiscono con le stesse lettere, capisci?”
“Sì – mi ha detto – come… scorpione e…”
E… ho ripiegato su “pallone”…
E adesso a chi lo dico?
È vero, a volte farei volentieri a meno dei figli. A casa, o fuori. Per esempio quando dopo due passi Sarah commenta “mamma sono stancaaa”, o quando devi avere occhi per tutti nello slalom salva-scarpe tra le sporcizie di cani. O, ancora, quando hai voglia di camminare a una certa, consistente velocità, e lotti tra l’egoismo che ti allunga il …
Posti meraviliosi
Un foglio di blocco a quadretti, girato, lì, dalla tua parte, mentre faccio merenda. L’hai lasciato aperto, su quella pagina in cui scribacchiavi assorto mentre io chiacchieravo con Monica, e tua sorella giocava con sua figlia nell’altra stanza. Stavi appartato, come è tipico tuo, traccia parallela di universi smisurati. La penna ben impugnata, chino come un alunno, su compiti che da solo ti assegni, se te li assegni, nel tuo rigore da adulto, nella rincorsa ai quadretti.
“Dov’è la Cicilia?” mi hai chiesto interrompendo…
L’istinto e la ragione
L’ho capito quando ho visto quel tizio, un ragazzo schizzato dentro con foga inusuale: aveva i pantaloni leggeri inzuppati, la maglia, i capelli. Fuori era arrivato il temporale che avevano predetto. Qui dentro, tra i prodotti del supermercato, la musica e il jingle che pubblicizza il loro marchio, la tempesta ha potuto ben poco. Là al fondo, oltre questi scaffali …
Limiti di una madre
Ha ragione Elena. Dondola sull’altalena, il sole delle due si arrampica tra i suoi riccioli nero corvino, va a cercarsi la testolina spelacchiata di Isabelle. Su e giù, in braccio a chi, la piccola non sa. Sua madre la guarda dalla panchina: “Chi la vuole?” ho domandato vedendola agitarsi nel marsupio, scalciare con scarsa eleganza sui miei fianchi. E allora …
Insegnarti a dormire
Insegnarti a dormire. A quattro mesi. Nemmeno.
Perché una cosa tanto naturale è così difficile?
Un rito fatto di una canzone, una coccola, poi la culla. Ingressi ripetuti. Lasciarti piangere a intervalli regolati dal nostro orologio e sempre più distanziati, come vorrebbe Estivill, oppure dai tuoi tempi e strilli, accorrere e calmarti, come…
Tre anni intorno al mondo
Mi fanno aspettare. La commessa spinge il carrello delle pulizie come un deambulatore. Intorno non è rimasto nessuno. Anche i bambini del doposcuola, i genitori ritardatari, il resto del personale, le maestre sono scomparsi ingoiati dalla vita di fuori, di casa, dalla serata che si distende letargica tra nuvole indaffarate a cercare la pioggia.
È un gigante addormentato questo salone di linoleum senza giocatori né spettatori, gli armadietti già raccolti a bordo campo per le feste di fine anno contano i giorni che mancano, attendono il crepitio delle musiche…
Il “tappetario”
Si potrebbe pensare che una plurimamma sia decisamente più esperta e accorta di una alle prime armi. Si potrebbe supporre, o si dà perfino per scontato, che ricordi ogni cosa necessaria all’accudimento di un bebè, che non abbia bisogno di rileggersi l’enciclopedia della puericultura, e che, in ogni caso, abbia sviluppato, con le maternità precedenti, un istinto acutissimo. Dicono anche …
Scusa
Ho imparato a chiedere scusa. In basso, accovacciata sulle gambe, gli occhi dentro a quei momenti rapidi di pupille che se non le prendi al volo già scappano. Perché forse a loro basta che li guardi di nuovo e poi gli passa in fretta. Sarah mi rincorre, a volte, supplichevole: “Mamma, non essere arrabbiata…”, poi vola su due parole che le dico, tra i capelli della Barbie dimentica.
Potrei farmelo bastare, così rimango Grande. Invece penso che la forza di un genitore non sta nella sua marmorea irremovibilità
Tecniche di sopravvivenza
Com’è bello ricordare i vecchi tempi!
Oggi, complice una dose massiccia di cortisone inalato via aerosol da diversi giorni e soggetto, oso supporre, a fenomeni di accumulo del tipo “intossicazione”, hai dato il meglio di te, riportandomi allo strazio dei primi mesi.
La felice abitudine che avevi preso, di addormentarti pacificamente al seno davanti alla tv intorno alle 23.30, è stata abbattuta in favore di un incerto dormiveglia cui ti approssimi con generosa cautela intorno all’una di notte. Stamane alle 6 eri già sveglia, ti ho attaccata a più riprese ad ogni tetta possibile (scusa se sono solo 2), poi…
Un simpatico passatempo
Chi era, John Lennon? Diceva: “Life’s what happens to you while you’re busy making other plans.” (La vita è ciò che ti capita mentre sei impegnato in altri progetti).
Verrebbe da dire: quanta vita, con un neonato!
È vero, Isabelle è migliorata così tanto da permettermi il lusso di portare a termine qualche azione ordinaria, tipo fare una lavatrice, stendere, telefonare. E perfino straordinaria, come occuparmi dei miei album di fotografie, selezionarne qualcuna per coinvolgere anche lei nell’arredo di casa, sui cui muri troneggiano solo i fratelli, o addirittura scrivere senza aspettare che mio marito faccia il tato la sera. Eppure…
Ad ogni madre
…“Ti viene voglia?”, lancio la domanda consueta che risponde all’incanto, come quegli aeroplani di carta che si facevano a scuola, a tagliare l’aria e farla gioco. Mi aspetto il no deciso di mille donne che non desiderano altre fatiche.
Chiara si alza, con fare danzante: “Sì!” esclama con gioia, e i suoi capelli diventano seta…
Guardarsi
È il vezzo degli amanti: guardarsi negli occhi, senza tempo, senza verbo. La distanza rappresa, i fiati che scavano dentro, ritagliano spazi immensi in pupille minuscole. Entrano, cercano. Trovano. Tornano ricchi. E cambiano l’intorno.
Ci vuole coraggio. Il coraggio sfacciato dei primi tempi, senza pudore, né scuse. Quello che poi s’ingabbia, latita, tentenna nei giorni a venire. Quando la vita scende, cola senza che quasi ce ne accorgiamo, nell’usura, la quotidianità lisa, le parole consumano il silenzio come uno stoppino che affonda nella cera.
Me lo insegna Isabelle, adesso…
Io, lui, l’altra
È vero, e capita a tutti (o a molti): ci si sposa, si aspetta il primo figlio, e piovono i buoni propositi, della serie “usciremo a cena lo stesso, basta tirarsi il latte, lasciare pupo e biberon ai nonni”. Oppure un cinema, anche col neonato: c’è chi lo fa, il piccolo avvinghiato al seno, poi crolla nel suo cinema privato di sogni che pescano quello che possono, da una vita appena abbozzata, e i neogenitori si godono lo spettacolo. Ci siamo passati anche noi, non dal cinema e dall’appuntamento romantico: dalle buone intenzioni…
Quando abbiamo imparato a ridere
Sarah mi porta il libro di Tonino sognatore, un cubotto con le pagine spesse di cartone, stretto e già piccolo nelle sue mani che crescono: legge con me – ha deciso –, balza sulla coperta blu del lettone, mi viene accanto in questo nostro appuntamento per la buona notte.
“Pimpa e il fungo sognatore”: il fungo sorride sulla copertina, la Pimpa l’osserva con la solita lingua fuori, i pois rossi, le orecchie lunghe…
Un viaggio meraviglioso
La madonnina è ancora lì. Imperterrita, con la sua veste azzurra, nella cappelletta che dà il nome alla via. Mathias mi scatta una foto: io, con la piccola Isabelle in braccio.
Eccola, la porgo alla dottoressa, appena entro nel suo studio, questa creatura figlia un po’ anche sua, del suo lavoro, dei suoi appunti, di quell’ecografo che ora riposa: chiacchiero, la piccola scalcia, ha fame, aspetta…
Dormi, ti prego…
È come scrivere sotto effetto di barbiturici: come sempre, da settimane, il tuo sonno obbedisce a leggi sconosciute e difficilmente condivisibili, più prossime alla veglia perpetua e disturbata, che al riposo. Per empatica condivisione, tuo padre e io seguiamo a ruota.
In questo momento avverto: tremore alle mani, testa che gira, sfinimento generalizzato, vista appannata (mi scuso fin d’ora per eventuali errori di battitura)…
Prima di dormire
Ho la stanchezza che avevo dopo una gita in montagna. Gli occhi si perdono nel soffitto azzurrato dalla luce fioca, non s’arrestano su quel tetto scosceso, il legno che m’impegnava la fantasia in strane figure tracciate tra i suoi nodi. Se la portava a spasso, picchi, bestie, nuvole e costellazioni. In viaggi più densi e leggeri di quell’escursione che ancora fremeva nelle gambe…
Quando l’amore bastava
Sono passata accanto al grande prato dei piccioni. È una mattina forata dall’appuntamento col pediatra, il primo controllo della piccola. La borsa del cambio in spalla, la cartella clinica, vecchie abitudini che ritornano. Gesti consueti lasciati indietro come passi…
La sfortuna si impara da piccoli
La vita offre sempre ottime occasioni per insegnare qualcosa ai figli. Noi, lo scorso fine settimana, gli abbiamo insegnato la sfortuna.
Tutto nasce da quello slargo davanti alla posta, in Via Gozzoli. Ci passo per caso, la piccola addosso, i suoi fratelli a scuola, venerdì. Strane creature hanno preso vita: strutture plastificate e rigonfie meglio note sotto il nome di “gonfiabili”. Le osservo figurandomi già l’eccitazione dei figli e intuisco, da subito, che quelle grandi masse variopinte sono destinate a diventare la nota di colore del nostro weekend…
Tutto il bello è possibile
Lei è una signora anziana, i capelli chiari, corti. Gli occhiali gentili, appena posati su un piccolo naso. Si avvicina con la sua figura esile, due soli pacchi nelle mani, al fragore della nostra famiglia, al carrello stracolmo al nostro fianco.
Patrick e Sarah stanno giocando a nascondino: il loro gioco preferito, nel supermercato…
“Oggi vengo io, con Isabelle”
Sarah è seduta con gli altri: una cascata bionda di boccoli che cerca la luce, il volto incrinato. Lo vedo arrivando, da fuori, sulla soglia, la osservo. Lei ancora non mi scorge, sta chiusa a pugno, come una mano, capisco che mi ha attesa e il fremere si è già scomposto, ha fermato i gesti, ammutolito gli occhi, in quel timore velato che la mamma non venga.
Sono in ritardo, per i suoi tempi bambini: non sono tra le prime che arrivano al suono della campanella. Eppure, da stamane, le avevo promesso: “Oggi vengo a prendervi io, con Isabelle.”…
A ciascun giorno basta la sua pena
La vita è beffarda.
Mi preoccupavo tanto di non arrivare in tempo all’ospedale, di non fare l’epidurale, della gelosia dei figli.
Ho fatto dieci ore di travaglio, l’epidurale, e i figli sono bravissimi.
Buffo come le cose poi vadano diversamente da quanto previsto, atteso, temuto. Meglio, a volte. Peggio, altre.
In mente mi sovviene quella frase che per anni tenni stretta: “Non affannatevi troppo per domani, perché domani avrà già le sue inquietudini: a ciascun giorno basta la sua pena.”…
Questa bambina è anche vostra
Entrano come folletti: zitti, ho sentito i nonni raccomandarsi con loro di non fare chiasso. Zampettano leggeri, passi di gattini quasi con circospezione. Hanno l’impazienza che scioglie gli occhi, li fa liquidi, mentre la cura e il timore quasi reverenziale trattengono i fiati e la foga.
È nuovo anche per me, questo letto sospeso chissà dove, tra ieri e domani. Sono passate poche ore. Stillavano come gocce da un rubinetto che perde. Riempivano a fatica un’aspettativa troppo grande.
Il parto è stato così strano…
Extreme makeover: newborn edition
Di fatto, volente o nolente, mi arriva la voglia di ritrovare le mie cose. La vita “normale”.
Sì: ma dov’è?
La poesia del neonato s’infrange sulla matematica della quotidianità:
10: scariche giallognole al giorno.
12: cambi pannolino (10 per i motivi di cui sopra, più altri 2 per pipì).
8: ore dedicate all’allattamento esclusivo (nel senso che esclude qualsiasi altra attività materna)
Abituarsi alla luce
…Ci vuole pazienza, quella del neonato che ancora non vede, distingue appena le luci, le ombre. Quella del corpo che riprende la sua forma originaria. Quella del seno che fiorisce, trovare il latte, attaccare la piccola, cercarsi. Quella dei miei occhi, come i suoi, che piano piano iniziano a vedere. Ad abituarsi alla luce nuova: accecante nel suo fulgore, madre di ombre profonde, insieme…
L’amore rotondo
…Così mi affaccio sulla sera degli amanti, tra mille tavoli, volti e candele, il mio annuncio: il 10 febbraio a mezzanotte e venticinque è nata Isabelle…
L’ultima ecografia
Tra poco ci vedremo, alla nostra maniera, per l’ultima volta. Ti vedrò io, ti sbircerò forse senza che te ne accorga. Cercandoti con la fatica ignorante su quel monitor. Lo sforzo che mai vorrò dimenticare, che resta utile serbare, sempre: affacciarmi dal mio mondo al tuo, nel diverso.
Molte altre volte farò un’ecografia, la sonda comporrà cerchi come dita nell’acqua, sull’addome, sul corpo, per altre, svariate ragioni. Allora so che rimpiangerò quando quello strumento era un incontro con la vita. Quando la scienza si sbriciolava nel sentimento…
Lista dei sogni di poche pretese
La lista. La migliore amica del controllo. L’ombra fedele del timore. La gabbia in cui cercare d’infilare e rinchiudere i dubbi. La fuga.
Gennaio scema sotto finti fiocchi di neve, non mi ha dato la sola cosa per cui normalmente lo salverei. Tutti hanno redatto già molti giorni fa, il loro elenco delle buone intenzioni. A me le buone intenzioni fiaccano. Così, in preda a un cuore che saltella tra lo stordimento felice di una nascita che s’approssima, e la paura dettata dall’ignoranza del quando-dove-come inizierà il travaglio, con questo muscolo sentimentale legato e scalpitante come un cavallo a uno steccato, mi metto a redigere anch’io la mia paginetta dei buoni propositi, che però, per indole e desiderio, chiamerò “lista dei sogni di poche pretese”…
La danza sotto le mani
…Mathias mi chiede com’è? Com’è sentire la piccola che si muove?
Ha le mani educate dai mesi e dai figli già nati: vorrebbe spingerle sotto, andare a pescare dove non può.
Ce lo porterei volentieri, e volentieri lo lascerei a metà, coi palmi aperti delle domande, l’attesa di quella monetina di risposta, parole che possano riempirli. Perché per poche cose vale la pena cercare. E per poche vale la pena non trovare…
Saremo ancora noi?
Io mi curo di rassicurare i miei figli.
A Patrick dico: “Tu sarai sempre il mio ometto.”
“Mi vorrai sempre bene?” domanda a giorni. Altri è sicuro, vola sui suoi numeri, digita sulla calcolatrice. “Mamma, tolgo il volume, va beme?” Si perde la “n” parlando in fretta, alla sua maniera aspirata. Viaggia nel suo mondo, dimentica l’intorno. Quando atterra mi trova, di nuovo: “Sempre” lo rassicuro. “Anzi, sempre di più.”…
L’appuntamento
C’è stato un tempo in cui Mathias e io stavamo lontani.
Conoscevo gli aeroporti. Conoscevo la sua casa a Parigi. Le sue cose, solitarie, negli armadi. Gli oggetti obbedienti al suo ordine (opinabile) da single. La sua voce al telefono, la sera, mentre stirava davanti alla tv.
C’era messenger, le mail. Ma, più di tutto, c’erano il pensiero e l’attesa: una canzone senza pause che mi seguiva ovunque, si accodava alle canzoni vere, le nostre, nate al Trocadéro davanti alla Tour Eiffel, nel suo salotto, per le strade…
Piccole cose felici
Poi piovono piccole cose. Polvere come quella che l’albero ancora montato lascia sbriciolare da palline rimaste a festa. Che non guardavi. Nastri come ghirlande. Inezie. Note minuscole orchestrano spettacoli inattesi. Eco. E sei felice.
Patrick è scivolato, silenzioso come una promessa, dentro un sorriso: due sere fa, così, gli ho visto gli occhi vispi, i suoi, se li è rimessi addosso, li ha ritrovati, forse erano scomparsi nel cesto dei giochi, in fondo alla stanza. Mani piccole che a volte non sanno sbucare dalle maniche…
Digressione
Essere incinta: piangere tre volte in cinque minuti per una canzone. Per giunta di Britney Spears.
Laggiù in città
…Le donnine si accrocchiano all’uscita, uno chignon ben riuscito di giacche a vento e gote rosate da fard misto alle temperature invernali. Caffè?
Una tazzina al volo con le comari (non me ne vogliano), e di corsa a casa: il palinsesto prevede, come prima giornata di rientro nella socialità, la solitudine di una gita all’Auxologico per un ECG…
L’amore a 180 gradi (che poi vorrebbe dire a metà)
…Io impasto. Come nei libri, nei film, nelle case degli altri, forse. Come nella mia testa: la torta sarà bella e deliziosa, gli occhi salteranno per la cucina in attesa che sia cotta, ci azzufferemo per mangiarla tutta, le mani unte, le bocche mute. Sorrisi dilaganti di denti marci di cioccolata.
Inforno e aspetto. I bambini saranno curiosi, si affacceranno con cautela a quel vetro caldo, obbedienti alle mie raccomandazioni. E verseranno impazienza per la casa. Finché suonerà il forno: il campanello della nostra piccola festa…
Il tempo della pecora
…Si arriva a un punto che è come quando sai che sta per suonare la sveglia: dormicchi, ci provi, ma non puoi abbandonarti al tepore rassicurante del letto. Qualcuno già tira le lenzuola, al fondo, solletica i piedi.
C’è sempre uno spartiacque, nella gestazione, un momento dopo il quale volgi verso il parto, il futuro, il bello ma anche l’ignoto.
Per me questa svolta è adesso, sono queste feste. Mi avvicino al fondale di Truman Show, navigo senza sosta né ritorno…
L’eco costretta dei “no”
Forse è un effetto collaterale del Natale, o forse è questa pioggia insistente che chiassa un obbligo ostile a chiudersi in casa. Forse è che ci sono un mucchio di cambiamenti nel pugno chiuso di pochi giorni, di qualche ora schiacciata, stipata tra preparativi e feste. Pur belle, bellissime, ma comunque stipate.
O, ancora, un ostinato brucior di stomaco che mi ha anche guastato la sacrosanta mangiata natalizia…
Un pacchetto per Isabelle
Capita che certe cose sembrano scelte e invece ti arrivano addosso così, una svolta, un’intuizione, una sciocchezza che ti prende in braccio. Un riso liquido, come di bambino. Come questa pioggia fine che credevo non bagnasse e invece c’è anche se quasi non la vedi, e poi arrivi dentro al solo ipermercato poco lontano e gli occhiali sono pieni di pois che rifrangono la luce in tutte le direzioni.
Capita così. Che è la domenica prima di Natale…
Fa freddo fa caldo è troppo umido c’è un po’ di vento
C’è troppo sbalzo termico da un’ora con l’altra, c’è fango, c’è brina, c’è…
Se vado avanti con la lista ne esce quasi una filastrocca: chissà che così non si riesca a far ridere, oltre ai bambini, anche la sottoscritta, per questa prigionia forzata cui sono costretti i pargoli nelle scuole d’infanzia per un numero imprecisato di mesi che rasenta il 90 per cento dell’anno scolastico…
Il tempo delle madri
Sola.
L’orologio spezza la cucina col suo ticchettio croccante. Sembrano briciole di un tempo aperto come pane. È arrivato il sole, qui dentro. Passa dalle rose azzurre della tenda alle mie spalle, gira sul muro, sbieco, lo lava ancora più bianco, supera il pensile, poi si perde sullo stendino.
Maglie piccine, slip con la Barbie, boxer con Spongebob.
È una strana presenza, la tua: una sorta di pesce in un acquario, muta…
Ma dove sono i regali?
…Io ho dei ricordi bellissimi, di giorni che mi hanno insegnato l’eccitazione, la curiosità, l’impazienza buona. La gioia di una neve di farina, di una cometa di plastica, una montagna di cartone, un risveglio all’alba. Io sono anche i Natali che ho vissuto. Quell’atmosfera appesa alla tavola, ai volti, alle palline dell’albero. Più dei regali, di ciò che scoprivo dietro alla carta decorata. Più degli oggetti che poi si faceva a gara a chi riusciva a usarne di più in un giorno solo. Io sono anche la festa che ho vissuto.
Che passa di genitore in figlio, che adesso rendo ai miei bambini…
Ricominciare
…Sul tappeto appare improvvisamente il vecchio carrycot rosso in cui stava Sarah. Piange, Mathias la prende in braccio e inventa nuove posizioni per calmarle le coliche, finché ne trova una buona.
“Devo riattaccarla?”
Su è giù dalla tetta, tetta-Mathias, Mathias-tetta. Dorme. No, si è svegliata. Prova a metterla giù. Il film è finito. Andiamo a letto? Aspetta, la riattacco, l’addormento al seno.
Osservo il megacuscino per l’allattamento che non se n’è mai andato (Patrick lo usa come montagna per le macchine, Sarah ci si sdraia quando ha mal di pancia, più o meno tutti i giorni).
Ascolto il silenzio. E la tv.
Conteggio velocemente la pace che resta: tre mesi. Scarsi.
“Ma lo sai che a ripensarci non ho nessuna voglia di ricominciare?”…
Resta a guardare
A volte ragiono in termini binari, il tempo ha due facce, come le medaglie: c’è la parte insieme ai bambini, e quella da sola. La parte in cui gioco con loro, interagisco, mi relaziono, parlo, canto, ballo, scherzo con l’eco delle loro risa che sembrano davvero una pioggia di riso su un sagrato a festa. E la parte in cui si occupano da soli, o guardano la televisione: momenti in cui mi dedico alle mie cose, sbrigo faccende noiose, o mi diletto in spazi liberi e preziosi.
Eppure sui bordi, tra l’una e l’altra cosa, la soglia tra una stanza e l’altra, la mia e la loro, è un varco magico…
Ma la fatina come ha fatto a venire, che piove?
Certe cose arrivano senza preavvisi, né difficoltà, né lamenti, contrattazioni, storie. Arrivano e basta. Come la fatina.
Patrick è seduto a fare colazione, si tocca il labbro, indica qualcosa, dice che gli dà fastidio. Oddio, questo sta male di nuovo – penso. Grazie, abbiamo già dato nel weekend.
Invece intravedo un puntino rosso, lì vicino al suo dito piccolo in allerta per cose che sembrano enormi. Il dentino è storto, lo tocco, dondola un po’.
È anche così, che cominciano le favole. Non lo sapevo…
La prima volta
…Ogni sera leggo una storia a Sarah, poi le canto una canzoncina francese, la tengo in braccio e infine sussurro: “Ti voglio bene”.
Da settimane, mesi, forse, leggo una storia a Sarah, le canto la canzone, la tengo in braccio e infine sussurro: “Ti voglio tanto…”
Lei respira il mio bisbiglio vicino, i nasi a sfiorarsi, e io le guardo la piccola bocca schiudersi dietro il ciuccio: “Bene”…
Buon viaggio
Sono andati.
Settimane di attesa, pochi minuti per cacciare tutto in una sacca rossa: due spazzolini, qualche cambio di biancheria, una maglietta, la felpa. Una traversa per il letto, per questa notte chissà dove.
I due maschi di casa vanno a Parigi.
La casa se ne accorge, più passano i momenti che li avvicinano alla porta: si sente in quel cesto di macchinine, in quel letto sotto le stelline che gli avevo incollato…
La multa non è fumo
Hanno beccato una che fumava nell’area giochi dei bambini, al parco, e le hanno dato 35 euro di multa.
Così pare. Chiara me lo racconta con distacco equosolidale, nel senso che si capacita della buona intenzione dell’ordinanza firmata Pisapia, ma fatica a non sorridere, dietro le sue boccate di fumo, per non essere lei, sta volta, quella colta in flagrante…
Digressione
Non c’è niente di peggio per una donna che ingrassa, che avere un marito che dimagrisce.
Madri diverse
Sono rimasta incinta nel mese dei papaveri. Sono rimasta incinta quando ho deciso, quando volevo, come ho voluto.
Io, tanti amori e pochi progetti.
Io, eterna ragazzina senza convenzioni né convinzioni.
Io, i disturbi che per anni mi portavano dai medici, stanze linde, quadri alle pareti, salette gremite di donne con la pancia a forma di D maiuscola mentre ero piccola come un desiderio inespresso…
Il primo pianto dell’asilo
Sarah che piange, stamattina, è una fatina senza la bacchetta.
Abbassa il viso e tiene gli occhi arricciati in su, verso di me. Implorano. Le labbra piegate sugli angoli, in senso opposto al sorriso, la pelle bianchissima che sembra buia.
Poi le parte una smorfia contratta, contiene una frana che si sente arrivare…
Il dietologo nell’armadio
Una volta si andava dal logopedista per la balbuzie, dal neuropsichiatra per la schizofrenia, e dal dietologo per l’obesità o il diabete. Ora per la logopedia basta una R poco rullata, dal neuropsichiatra si porta il figliolo vivace, e il dietologo ce lo ritroviamo, senza appello, appiccicato sugli armadietti.
L’amore si divide?
…Ora prendo i bambini sulle ginocchia, richiamo la loro attenzione, spiego loro: “Quando nascerà la sorellina, bisognerà che la mamma faccia le coccole anche a lei. Ma voi non dovete preoccuparvi, perché alle mamme succede una cosa speciale: ogni volta che arriva un bimbo nuovo, il cuore della mamma si allarga di un po’, diventa sempre più grande. Così c’è sempre abbastanza mamma per tutti.”…
Un pensiero per chi
“Comunque… noi non ci pensiamo mai, siamo eccitati e sereni, ma in effetti… non è mica detto che vada sempre tutto bene. In verità dobbiamo esserne grati.”
“Io ci penso, invece.”
Seguo Mathias giù per le scale di marmo, la borsa in spalla, la cartelletta con l’ecografia appena fatta sotto braccio…
Io ho dimenticato
Forse c’è un posto, al di sopra delle testoline dei figli appese alle loro verità come palloncini a un filo. Un posto in alto, sopra i rami che seguono senza fiatare le loro stagioni. O giù, sotto l’erba dei giardini, i nastri d’asfalto delle strade, le radici delle piante. Nel ventre della terra. Un posto dove si raccolgono i momenti, come gocce di vapore. Perché qui, in questo corpo minuscolo di madre, la fila ordinata delle ore scorre, e chi arriva, ruba a chi c’era.
Io ho dimenticato il viso di Patrick appena nato.
Ho perso quello di Sarah…
Il giorno che sono diventata madre
Il 27 novembre 2007 arrivai in ufficio in ritardo. Ero sveglia da ore, rincorrevo il pensiero di quel bicchierino di plastica rimasto da qualche Natale passato nel pensile più alto della cucina. L’avevo preso e messo in bagno la sera prima. Aspettava. Mi ero alzata e ci avevo fatto pipì. Poi ero tornata a letto…
La famiglia perfetta
Un giorno, un sabato qualsiasi di settembre, hai promesso ai bambini che si andrà in pizzeria. La mamma è sotto le mani di un osteopata che rincorre il suo trigger sottoscapolare (nome in-trigg-ante per definire il “grilletto” muscolare che, attivo, fa impazzire la parte destra della mia testa). Finirà tardi, è in una zona centrale della città, considerata la quasi aperta campagna in cui pascolate di solito. E così, con la scusa di fare prima, papà e i piccoli passeranno a raccattarla, e si andrà al ristorante.
Lei arriva, rilassata, distesa…
E tu diventi vera
A volte mi attraversa, in mezzo ai fatti del giorno, l’idea di te appena nata. Arriva, passa, come una stella cometa.
È presto, si sta nel secondo trimestre come in una conchiglia: è finito il tempo incerto, si è lontani, ancora, dal precipizio del parto, dalla realtà che arriva, addosso, l’idea che improvvisamente s’incarna.
Vengono lampi rapidi, ripescano dal serbatoio dei ricordi, ti portano su quel letto all’Ospedale San Carlo che fu di Sarah, ti inventano…
L’abbiamo detto ai bambini
Lo diciamo ai bambini un venerdì sera. Un venerdì fiaccato dai miei disturbi, loro a casa, ancora: “La mamma deve riposare”… La mamma ha mal di testa, la mamma è stanca, non toccate la mia pancia, non saltateci su… Dopo le vacanze è come infilarsi in un buco stretto stretto, una serratura da cui vedi a fatica: loro, tu, le ore lunghissime…
La “dolce” ricerca di un corso
Alle nove e cinque di un martedì mattina me ne esco trionfante con un bambino per ogni mano e un altro che sguazza sotto la maglia (ormai a maniche lunghe), direzione asilo.
È il primo giorno che Sarah mangerà a scuola. Il primo giorno che la mattina della sottoscritta sarà davvero luuunga. Soprattutto volendo irrimediabilmente sfuggire a quelle sirene d’Ulisse sotto forma di appelli materni inconsci, che mi vorrebbero persuadere a fare ciò che di più ovvio si fa a casa nelle mie condizioni di mamma a tempo pieno (che ora è a tempo parziale): la casalinga…
“Dovrebbe capitare per sbaglio”
Federica accavalla le gambe. Nel linguaggio del corpo, ricordo da un libro che lessi molti anni fa, questo gesto significa chiusura. Parla, infatti, corre dietro, quasi, alle sue stesse parole, non si accorge che io non sono così rapida, che mi perdo pezzi di frasi. Le vacanze, l’altro figlio, brevi spazi per le mie repliche, si mangia morsi di parole, i finali scemano in sussurri…
Un giorno
Domani.
Rideranno di me alcune. Le madri che hanno obbedito al lavoro, necessità o scelta. Che da subito sapevano di non poter restare troppo a lungo con i loro piccoli a tempo pieno. Le donne tutte d’un pezzo. Mia madre. Rideranno coloro che non hanno coraggio, che chiamano drammi i sentimenti. Quelli che non hanno tempo per la malinconia, che…
La prima della cassa
Affacciata al mio palloncino di quattro mesi, ieri, all’Ipercoop, faccio il primo tentativo di questa gravidanza di arrogarmi il diritto di precedenza alle casse. Ce ne sono almeno una dozzina, c’è abbastanza gente: la maggior parte è aperta e con coda. Ho Sarah nel passeggino e, sotto, una decina di prodotti che forse, a contarli, potrei andare in quella “veloce”, …
Outing e outfit
Quaranta minuti per vestirmi. Avevo dimenticato questo aspetto della gravidanza.
Sarah raccatta una cintura dall’armadio: “Posso prendere il guin-haio (guinzaglio)”? Patrick acconsente a fare il cane.
È settembre, riprende la vita sociale: oggi la logopedia di Patrick, solito posto, solita gente. Avevo pensato di fare il mio “outing”…
Costretta a un letto-zattera che non mi porta in salvo
Escono, vanno a Cesano. Sento la macchina che gratta la corte. Immagino i bambini domandare “la mamma non viene?”
L’altro giorno sono stati dai miei: “Patrick, andate dai nonni, adesso, sei contento?”
“Sì!!!” mi urla senza gridare. Il solito punto esclamativo composto, ristretto come una camicia dopo un lavaggio troppo caldo. Sono io che esubero, lo inondo, restringo i miei figli bambini. Gli ridono gli occhi, chiari, esclamativi, quelli sì. Poi mi cerca spegnendoli un po’, con apprensione: “E tu stai qui da sola?”…
La notte è magica – Parte 2
E così, anche in un luogo ameno, in vacanza, senza ipotetici stress, senza sveglia, senza fretta, prima o poi doveva capitare: non solo il risveglio a ripetizione cui ormai mi sono abituata, ma la nottataccia che al momento ti chiedi se sia vero che è poi così affascinante.
Sarà stato il pollo con l’uva che mi ha preparato lui, uno dei pochi cibi per cui ancora nutro una certa attrazione simile alle voglie e alle glorie delle prime settimane. Saranno quei quattro biscottini…
La notte è magica – Parte 1
C’è un non so che di affascinante e misterioso nelle notti. Qualcosa che il giorno non sarebbe in grado di regalarmi neanche se mi chiudessi in uno stanzino della vergogna o in quello spazio bianco, quell’utero ipotetico di cui dicevo: sarà il silenzio, la penombra in cui galleggiano gli oggetti, la ninna nanna muta di mille giorni di infanzie lontane …
Scleri
Siamo venuti alla Courba Dzeleuna. E che roba è? Il nome assurdo identifica un rifugio arroccato su una roccia da qualche parte sopra la Val Veny, dinanzi alla Catena del Bianco. “Rifugio”, però, non è esatto: è una baita dismessa, le finestre mute, la porta serrata, il terrazzo spalancato sull’estate degli altri. Anche “siamo” non è del tutto esatto: dovrei dire “sono”…
Gusti e disgusti – Parte 2
Si può mai avere qualcosa nella vita senza rinunciare a qualcos’altro? In gravidanza questo è vero il doppio (forse perché il feto ti toglie l’altra metà di cose che eri riuscita a salvare alle rinunce?).
Ai bagordi indotti dalle voglie si contrappongono una serie di indelicate “questioni”, prima fra tutte le “anti-voglie”. Nessuno ha coniato un nome per questa parte della faccenda…
Gusti e disgusti – Parte 1
Qualcuno un tempo diceva “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”: ebbene, non dategli peso, perché obbedire a tale presunta verità, in tempo gestazionale, equivale a consegnarsi a una vera e propria crisi d’identità…
Lo start-up
Il primo investimento che mi trovo ad affrontare è di circa dodici euro, sotto forma di un solo, singolo, stecchino con due finestrelle, meglio conosciuto con il nome di “test di gravidanza”. Una spesa media, che un tempo era ammortizzata dalla presenza, all’interno della confezione, di due stick, nel caso il primo test venisse eseguito troppo presto e desse esiti invalidamente nulli, o che la presunta mamma fosse incapace di intingere il capo giusto sotto il flusso di urina…