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Maternità

Bagnarsi di libertà

HANNO VINTO I BAMBINI

 

In un modo o nell’altro finiscono col farti quel pulviscolo negli occhi. Allineati con le loro magliette colorate. Ho il cellulare rotto, sono costretta a guardare dal vivo, niente obiettivi, inquadrature, che non siano quelle, istintive, del cuore. Forse il trucco è che hanno lasciato la canzone sotto, e così pare siano intonatissimi, tutti coagulati in quel coro nel primo giorno di giugno, nell’estate che finalmente ci trova.

È sempre un’onda, si riaggancia a quelle stesse strofe provate a casa,

non c’è alcuna sorpresa nei genitori: sapevamo già. Eppure c’è lo stesso meraviglia.

Quel piccolo slancio che non te l’aspettavi e ci resti così, come i bambini quando fuori nevica.

Il resto della mattina, dopo questo bottino emotivo, scade in attese, in un caldo che è già troppo, in alcuni gazebo dove Isabelle rifiuta di fare qualche lavoretto artigianale. Patrick ha i tornei di pallavolo, i campi sono nani, la palla passa ogni venti minuti, per nutrire tutti gli alunni: la giornata dello sport. Qualche birillo, due ostacoli per i più piccoli, è lì che Sarah spende il suo sorriso: all’introduzione dei canti ha fatto un pezzo di presentazione, reggeva il microfono, non una sbavatura, a parte quella sua R finta francese. Non avevi paura? No. Sei contenta? Sì. Ha gli occhi che saltellano negli oblò degli occhiali. Si è tirata fuori, come si dice, è tutto quello che era, che sapevamo, però senza il groviglio impertinente della paura. Più tardi, nel nostro giardino non giardino, in quel quadrato di terra che pare Sicilia, farà altri spettacoli privati per me, vuole fare la show girl, la ballerina, le pubblicità: «Non avresti paura a ballare su un palcoscenico con sotto tutto il teatro pieno?» «No». E io so che è vero.

La domenica è la Piazza Gae Aulenti: l’ha scelta lei, la divorava sul calendario della cucina, in quella foto di un anno fa. Ci sono queste grandi pipe per parlarsi da un piano a quelli sottostanti, lunghi tubi come saxofoni, resti di maleducazione in carte e mozziconi di sigaretta ficcati dentro nei coni. Però la voce viaggia uguale, se ne frega e vola.

Devi solo azzeccare dov’è il tuo compagno, ché se no infili i messaggi nel tubo sbagliato. Come nella vita.

Allora c’è questo ragazzo solo, guarda. Per un attimo penso alla solitudine di chi non ha qualcuno: dall’altra parte, a raccogliere le nostre parole.

E poi è acqua. Le fontane hanno le loro vasche basse ma i getti sono silenziati. Le scarpe se ne vanno, un lungo teorema di adulti orla queste pozze, seduto sui muretti, solo i bambini ci entrano, sparsi come fiori. Lo faccio anch’io, muovo passi impacciati in quell’acqua scaldata dal sole che non dà ristoro se non per l’automatismo di associare «bagnato» con «fresco». Però io vedo la cortina, loro no. Abbiamo sempre questa coscienza che in verità è un’allerta. Quel groviglio che Sarah non ha più, che Isabelle non ha ancora.

Anche quando torniamo bambini siamo sempre sotto la nostra ostinata supervisione, noiosi a noi stessi.

Quando più tardi ripasseremo in quella stessa piazza avranno acceso i fiotti. Siamo sulla via del ritorno

ma i grandi spettacoli sono quelli che non ti aspetti.

Allora i figli entrano piano, cauti e guardinghi, con quella curiosità e la sfida che morsicano la paura: il gioco è andare addosso al getto intermittente, scappare prima che si accenda. Dapprima sono schizzi, poi comincia che qualche fiotto li bracca, infine scoprono l’idromassaggio di tappare la valvola col piede, mentre attorno la pioggia degli altri getti fa i suoi fuochi d’artificio. Non hanno più riserbo, si lasciano acchiappare, in parti uguali dall’acqua e dall’eccitazione.

Vedi chi passa guardare, luccicare per questi bimbi. Vedi altri bimbi prendere l’iniziativa incoraggiati dallo spettacolo. Vedi genitori smettere di tenerseli addosso, di premurarsi in quell’automatico «stai attento, non ti bagnare troppo». I bambini, invece, non vedevano niente. Oltre quelle fontane.

Dopo un po’ erano inzuppati, i vestiti che cambiano colore. Bambini in mutande, anche le mie figlie, i vestiti sui muretti ad asciugare. La conseguenza imparata sul campo da piccoli che non pensano alle conseguenze.
E noi zitti: noi tutti a fare foto, a ringraziare per quel film dal vivo. E chiedere al sole di asciugare i panni. Ma senza fretta alcuna.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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Commenti 2

  1. mamma avvocato

    Meravigliosa immagine. E non parlo della foto, seppur bella e piena di liberatoria gioia anche quella, ma della immagine costruita dalle tue parole. Sapere che Sarah ha sciolto i suoi nodi è un sollievo anche per me perchè, sai, a forza di leggerti e leggere di loro, io mi sono affezionata.

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      Maddalena

      Meravigliosa scena, Giulia… era bellissimo. Sì, Sarah è stupenda, le restano minuscole ossessioni, forse abitudini, ma è libera, ariosa, piena di vita, capace di sentire il proprio mondo interiore e di comunicare. Qualcosa cui perfino noi adulti arriviamo a stento.

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