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Altre Verità

Abbiamo tutti i nostri vetri rotti da nascondere

stone-174038Ha fatto il pieno alla Total. Mi torna in machina fiero, un pacchettino azzurro in mano.
– Guarda, mi hanno dato un omaggio perché mi sono tesserato.
– E cosa c’è?

Un pallone dell’Italia, una bandiera, una trombetta. Per fischiare la sconfitta, a sto punto.
– Direi che te li avrebbero dati anche senza fare la tessera: devono farli fuori.

Il pallone insegue per un paio di giorni una pompa: sembra una papalina azzurra, sgonfio, la pompa ce l’abbiamo ma manca il beccuccio per infilarla e insufflare. Poi Mathias va in paese al negozio dove ha chiesto, Portala, te la gonfiamo noi. Fatto. Due tiri dopo Isabelle l’aveva già calciata o persa (poca la differenza, a due anni), e quella s’imbosca nel giardino di un condominio di chissà chi.

La trombetta risuona nel nostro prato, la bandiera serve per fingere una doccia attorno a una sedia a cielo aperto, oppure un grande velo. A volte Sarah la sventola, ci abbiamo infilato il vecchio manico d’una scopa. Quando la agita è consigliabile non stare nel raggio del cerchio che descrive.

La trombetta è il clacson di un’automobile improvvisata, e sul tavolino traballante sul terrazzo un vaso di vetro aspetta che i fiori che lei ci ha messo con zelo affogati nell’acqua macerino e diventino magicamente un profumo. Solo che sua madre non glieli lascia frullare, non ha voglia di sbattersi, poi, a ripulire il frullino a immersione.

Il pomeriggio che Mathias ha recuperato il pallone e si appresta a giocare una partita con Patrick, la bandiera è stesa al suolo. Nessuno ha notato che il vaso è scomparso. Ho guardato quello stendardo a terra, mi sono chiesta chi l’avesse adagiato con tanta precisione. Qualche ora più tardi le voci dei miei risuonano ferme, lì fuori. Intorno al tavolino che ha smesso di traballare anche lui, quasi: “Dovevi dirlo. È pericoloso. Dovevi dirlo.”

Ritrovo Sarah su una sdraio imbottita. Imbottita anche lei, che se potesse ci si piegherebbe dentro. Piccole efelidi scappano sulla pelle rosata dalla vergogna. Ho pensato a quanto mi somigli. La bandiera non c’è più. È scomparsa come il vaso. Ha finito il suo viaggio, il suo compito di cassaforte: stesa a coprire quel che restava di un vaso in pezzi. Scaglie di vetro, residui di fiori. Una pozza d’acqua che in un attimo evapora.

Hanno ragione, era meglio dirlo. Hanno ragione, è pericoloso. Glielo dico anch’io, glielo faccio promettere, come promettono i bambini a cinque anni. Con quella testa ferma che non riesce nemmeno ad andare su e giù per un sì.

Il primo vaso rotto. Quanti ne romperai. Quanti ne rompiamo, tutti. Quanti ne tacciamo.

Abbiamo tutti i nostri vetri rotti da nascondere. Ognuno ha una vergogna, da qualche parte. Che potrebbe ferire chi ci è accanto. Seppelliamo gli errori, i misfatti. Crescendo affineremo la tecnica. Credendo, così, di averli cancellati. Credendo, così, di essere più forti.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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