Maternità

Abbiamo deciso di restare

NELL’ISOLAMENTO BIANCO DELLA NEVE

 


Abbiamo deciso di restare.

Sabato Mathias diceva che chiudevano la Lombardia.
– E chi è via? Daranno un tempo per organizzarsi.
– No, se passa, è operativo da subito.

In qualche modo mi divertiva, per quanto divertimento rimanga in questa situazione che porta il singolo a non badare a nessuno, e intanto ti porta tutto quanto un mondo addosso. Mai come ora, in cose che scottano sulla pelle, che hanno nomi di città in cui abitiamo, di sintomi che mille volte abbiamo sondato, di echi che non siamo soliti maneggiare, il mondo ci viene addosso come un pallone calciato.

Sapevo che saremmo rimasti. L’ho capito davanti a due betulle siamesi, incollate sui piedi una dell’altra, bianco stupore nello stupore speculare della neve: stiamo qui.

Sapevo che non era un’idea, non era mentale. Era piuttosto una verità che mi vestiva, mi circondava. Come fosse già una presenza. Era una permanenza.

Poi arriva la conferma, l’articolo specificava che puoi tornare al tuo domicilio. Nessuno potrebbe obbligarci, per un secondo mi dispiaccio: c’è un gusto perverso che ci provoca,

abbiamo bisogno di coprifuoco, di spintonate, per uscire dal rigore del noto, per fare diverso.

Invece a tavola siamo d’accordo.

Non sarà facile. Lui lavorerà come ha lavorato in queste due settimane, una a Milano, la seconda a Courmayeur. Migra. Il ping-pong ce lo restituiva vibrante non certo di entusiasmo, ma di quei cinque gradi sottratti dal seminterrato. Braccava una coperta, stava accanto a un camino morto. Lui. Il camino. Poi ha guadagnato la cucina. I figli fanno qualche compito, limitano la tecnologia per decisione materna (incosciente). Isabelle ha tutta una schiuma che non si stanca mai, ieri ha fatto un museo fuori, in giardino: mi porta al piano inferiore, lungo corrimano sbiaditi dalla neve, e al primo piano. Sculture di ghiaccio, cumuli dove la grondaia scalpellava con il suo gocciolio, e poi mare in tempesta, quella neve graffiata dai venti e disturbata dalle nostre impronte, quel mare mosso di ghiaccio. Sarah ha creato una farmacia riempiendo barattoli di intrugli improbabili. Pillole e supposte di cellophane. Il giorno dopo stava male per davvero. Patrick conosce ogni manifestazione estiva della vallata da quelle brochure che sfoglia quotidianamente e tutto l’almanacco del calcio che lo segue fedele in ogni trasferta. Dice che il grosso dei libri per studiare li ha a Milano.

– Ma quanto stiamo?
– Non lo so. Per ora, a tempo indeterminato.

C’erano queste foto della città muta, gente separata dal metro di rigore, file disadorne fuori dai supermercati. E poi reparti ospedalieri ingozzati, invece.

Tornare non avrebbe avuto senso. Stare in quel clima di allerta, di pericolo. Non si fanno grandi cose, si sta in giardino, un giro intorno, ma si gode di un isolamento bianco nella neve, di questa natura Grandiosa, dell’aria buona. Serve organizzazione: Mathias ha spesso riunioni via web, io sto lavorando a un romanzo. Scrivere è un atto difficilmente nomade: sistemi tutto in un certo modo, ti serve che non arrivino emozioni collaterali, perfino i post-it e la risma di appunti stanno in un certo ordine, compongono sempre le stesse figure. Mi ero messa in qualche modo, provvisoria, ma forse me ne vado, da questa «stanza del Cristo», troppo severa, troppo fredda.

Cambia tutto, adesso che decidi di restare. Carichi una lavatrice, addestri i figli: – Bambini, da oggi regole. E disciplina.

Passi l’aspirapolvere su ogni lisca del parquet, sbatti i tappeti, quei giochi e cannucce zoppe a spasso per il soggiorno non ti sembrano più possibili. Vai a fare la spesa, trovi scaffali già derubati dall’ansia. Anche qui.

Prendi possesso dei giorni. Sali su quest’occasione.

Bisogna che ne approfittino per riformare la scuola, ti dici guardando i figli coi compiti via WhatsApp. Mi faccio dare una lista degli argomenti, e poi dico loro di inventarsi tre modi per farne esperienza.

Bisogna che ne approfittiamo per sentire quanto ci manca la vita sociale di persona.

Bisogna che ne approfittiamo per inventarci come vivere. In questa realtà sospesa, in queste case custodi.

Bisogna che ne approfittiamo per avventurarci. In un paradosso dove ognuno è a casa propria, eppure ognuno è fuori: dalla zona comfort. Dove l’isolamento, a modo suo, ci sta affiatando.

Qualcosa di nuovo?
Ti avviso io: a caso, quando capita, una vetrina degli ultimi post!

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