Lo dico a Gloria. Tra tante giacche chiuse in un piccolo vento gelido che oggi ci sfida, in quella condensa fuori da scuola: lo dico a Gloria. Il suo bambino è lì, una tuta di quelle imbottite e poi una coperta rossa di pile, fa il broncio. Lei sorride che no, non dorme ancora. «Però sei andata dal parrucchiere», indico i suoi capelli sciolti, di mogano scuro. Quasi non l’avevo riconosciuta, ero abituata alla sua coda alta, al fermaglio che la annoda.
Il sorriso però è ferito, ha una specie di apparecchio, un’armatura. Non è che io abbia deciso, non è che il dolore oggi sconfini, e percorra le teste là fuori dal mio giubbino, come questo vento. È che gli incroci a volte decidono. E quei suoi denti ammazzati da qualche intervento maldestro le sono costati una dentatura provvisoria, a tratti c’è un rigo sottile di sangue e adesso aspetta un nuovo impianto. Giovane e con un impianto. Forse è quella fenditura. Mi dispiaccio per lei, glielo dico. Come stai?, invece, non ci è venuto di chiederlo. Vado lo stesso. Diritta, solida come non sono: «Invece sai cosa mi è successo?»
Questo è stato il mio dicembre. Lo infilo tutto in poche frasi. Quante ne servono? Una per dire che l’abbiamo concepito in modo assurdo.
«Fosse stato sempre così a quest’ora avrei diciotto figli».
Ridiamo.
I miei bambini mi tengono per mano: le due femmine. Patrick è spostato, gli dà già fastidio questo vizio delle donne che parlano con una gamba che sta già andando via. E invece poi si fanno le mezz’ore.
«No, non me l’aspettavo».
La frase successiva è il dolore fisso sul calendario in quella data infausta: «Era appena passato Natale».
Le dico che non ho fatto gli auguri del nuovo anno a nessuno, fanculo al nuovo anno.
Ridiamo di nuovo.
Lei coi suoi carri armati sotto le labbra. Io coi carri armati nelle arterie.
Non se ne sono ancora andati, fanno su e giù. Va già bene che le ho guardato il piccolo e provavo tenerezza, non mi è presa quella cosa che adesso ogni neonato è un insulto, un calcio all’utero.
«Chissà che casino era, che inadatto alla vita, coi miei vecchi gameti. Per questo la natura l’ha fatto fuori».
«Ma sai che non ci credo? Io non ci credo».
Lo dice due volte e un po’ lascia una traccia, come quei profumi che restano dopo che l’ospite se n’è andato. Ma cosa cambia, ormai? O forse cambia: perché le dico ormai a quest’età non puoi mica riprovarci. Ma lei ha gli occhi sicuri e non tentenna: «Perché no, scusa? Che ti frega?»
L’ho detto a Gloria.
(10 gennaio 2019)
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